Sarei pronto a scommettere che l’ autrice ha scritto inizio e fine del libro prima della stesura vera e propria. Un riempitivo “fuori tema”, l’ autrice non ha trovato una chiave di lettura e accumulato storie di personaggi distanti dal presunto protagonista. Le riflessioni, in corsivo nel testo, mi hanno estraniato ancora di più. La storia propinata nella seconda di copertina era stupenda e piena di potenzialità, non l’ho ritrovata nel testo.
Le cose da salvare
Il Ponte è appena crollato. È venuto giú in un vortice di calce e blocchi di cemento. Affacciato alla finestra della cucina, il sessantaquattrenne Gabriele Maestrale osserva incredulo la voragine che si spalanca ai piedi del suo condominio, un edificio scheletrico con cinque balconi su cui incombe l’ombra spezzata del Ponte. Dal baratro si levano grida, deboli, incredule. Voci angosciate echeggiano nella tromba delle scale. Durante la loro corsa a precipizio, alcuni si fermano a picchiare alla sua porta: «Forza, raccolga quel che può e scenda, qui potrebbe venire giú tutto!». Gabriele, però, non riesce a muoversi, preda di un dilemma che non lo fa respirare: quali sono le cose da salvare? Gli oggetti utili, prima di tutto: il portafogli, i documenti, la giacca cerata, un paio di scarpe… Poi, forse, le fotografie, il cellulare, il libretto degli assegni, quel romanzo di Pavese appartenuto a Elisabetta, prima che se ne andasse… Che cosa salvare di una vita intera, quando tutto crolla, quando il mondo è ingombro di rovine prive di senso? Incapace di decidere che cosa portare con sé, Gabriele si lascia cadere sul divano; non si alzerà. Non si alzerà nemmeno all’arrivo dei vigili del fuoco, della polizia, di chiunque venga a intimargli di abbandonare la sua casa e mettersi al sicuro. Un anno dopo, la giornalista Petra Capoani viene incaricata dal direttore della Voce, una piccola testata di provincia, di scrivere la storia dell’uomo che dal crollo del Ponte vive asserragliato nella propria casa, circondato dalla desolazione e dalla solitudine. Da poco rientrata in Italia dopo diversi anni di lavoro a Londra, Petra accetta l’incarico senza entusiasmo, ma dovrà ricredersi quando Gabriele Maestrale le aprirà la porta della sua casa e, insieme, della sua esistenza. Tra quelle mura pericolanti, la giovane apprenderà, incontro dopo incontro, quanta vita è racchiusa in un appartamento e come la memoria di «tutta la tragica bellezza di ciò che è passato» - come scrive Cristina Campo nella frase che fa da esergo a queste pagine – sia piú importante dell’insensatezza della Storia. Romanzo vincitore della quarta edizione del Premio Neri Pozza, Le cose da salvare tratta di un tragico evento reale come soltanto la letteratura può fare: mostrando le crepe e le ferite, e le vie di salvezza, che lascia nell’anima degli individui e nel cuore di una comunità.
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ROBERTO 13 aprile 2025Deluso
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74silvia 13 maggio 2023
Mi è piaciuto molto, poetico e amaro
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Mi ha stupito molto la maturità della Rossetti e la facilità con cui sia riuscita a narrare di persone ben più anziane di lei senza perdere credibilità. Soprattutto, ho gradito i numerosi spunti di riflessione offerti in un volume di sole duecento pagine. Ho amato il personaggio di Gabriele Maestrale: mi ha suscitato molta tenerezza e altrettanta amarezza. Non ho invece apprezzato la scelta di narrare la storia interamente con la voce di Petra e di non utilizzare la punteggiatura per separare i dialoghi dal resto del testo: a volte mi sono sentito disorientato. Ma questi sono gusti personali, e comunque non pregiudicano la qualità della lettura. Considero questo libro meritevole di essere letto, e lo consiglio soprattutto a chi sente il bisogno di avere una prospettiva in più rispetto al senso della vita, specialmente riguardo l’importanza delle persone che ci circondano…e anche di quelle che ci hanno lasciato. Personalmente, leggendolo ho imparato a riscoprire ricordi e pensieri che avevo in qualche modo sepolto dentro me stesso. Forse questo meccanismo è stato facilitato dal fatto che ho più p meno la stessa età dell’autrice: mi è stato perciò molto semplice immedesimarmi in certe situazioni da lei descritte, perché ambientate in un’epoca che ho vissuto in prima persona.
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