Nonostante l'autore sia stimato e le recensioni su quest'opera siano generalmente buone, mi permetto di dare un giudizio prettamente personale, che si diversifica dalle numerose altre recensioni che si trovano sul web. Non mi è dato a sapere se sia stata una "svista" dei traduttori o sia opera di Bouvier stesso, sta di fatto che sin dai primi capitoli si evince una conoscenza superficiale e approssimativa del Giappone, come suggerisce la parola "tempio" che in un primo momento viene utilizzata sia per indicare luoghi buddhisti che shintoisti (successivamente l'autore si accorge di far di tutta l'erba un fascio e si corregge); oppure della trascrizione del nome del Kami Susanoo (scritto Suzano Wo). E ancora, Heiankyō (scritto Heian Kyo), Nanpo Bushi (che diventa Nampo Bushi), Kamikaze (scritto Kami Kaze); le katana giapponesi tradotte come "sciabole", l'Imperatore Hirohito trascritto Hiro Hito [...] la lista, purtroppo è molto lunga! Nomi sbagliati a parte, che comunque danno parecchio fastidio, Bouvier si ritrova spesso a criticare, anche piuttosto aspramente, una cultura millenaria che lui in primis non comprende nonostante in Giappone ci abbia vissuto: l'ironia di cui il libro è pregno è del tutto fuori luogo, segno di una personalità che lascia intendere l'idea di una (errata) supremazia occidentale. Man mano che si prosegue con la lettura l'autore si "calma" e tenta di alleggerire i toni, tuttavia persiste la superficialità con la quale narra i fatti storici e tenta di spiegarli; sovente si lancia in affermazioni non veritiere che spaccia per autentiche (facilmente confutabili con un po' di studio o una veloce ricerca). Agli amanti del Giappone e del giapponese: no, non è un buon libro.
Cronache giapponesi
Al contempo saggio sulla storia, la filosofia, le tradizioni dell’arcipelago e vero e proprio diario di viaggio, Cronache giapponesi è tra i libri mitici di Nicolas Bouvier, viaggiatore, scrittore e fotografo svizzero francofono. La genesi degli antichi miti nazionali, la fondazione dello Stato giapponese, i primi scambi con la Cina, la vita di corte a Kyoto, l’arrivo dei navigatori portoghesi e olandesi, fino alla Seconda guerra mondiale e all’occupazione americana, Bouvier va alla scoperta di una cultura millenaria, lontana, affascinante, e di un popolo che ha sempre saputo coltivare l’arte del compromesso. Ne percorre a piedi grandi tratti, come il suo amato Basho, vive tra le prostitute e i salotti di pachinko del quartiere Shinjuku di Tokyo, nei giardini profumati di pino di un tempio buddhista a Kyoto, visita la pittoresca Matsushima e la gelida Hokkaido, dove i nativi Ainu indossano i loro costumi tradizionali dalle nove alle cinque per essere fotografati dai turisti, felici per le macchine fotografiche, e poi tornano a casa per cambiarsi in abiti occidentali. Cerca i contadini, gli anziani, la musica e i rituali. E si avvicina con cautela a ciò che resta del buddhismo Zen. Bouvier cattura l’odore dell’aria, il colore di un viso, vive di attimi rubati, riflessioni, piccoli regali, occasioni e briciole.
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Aiko93 01 giugno 2025Mi aspettavo di meglio
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