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Dopo Dentro soffia il vento, Francesca Diotallevi dà un’ulteriore prova del suo talento con uno struggente, autentico romanzo sulla vita di una delle grandi artiste «invisibili» del xx secolo: Vivian Maier.
«Schiva al punto di scattare migliaia di fotografie senza svilupparle, morta ottantatreenne nel 2009, sola, senza un soldo e senza fama, Vivian Maier ha alimentato il suo mito con la sua invisibilità» - la Repubblica
«Vivian era una donna sola. Se per scelta o per forza, rimane impossibile affermarlo con certezza. Ma non bastano la porta chiusa della sua stanza, le false generalità, il mondo vietato agli altri ad esaurire il quadro» - il Manifesto
New York, 1954. Capelli corti, abito dal colletto tondo, prime rughe attorno agli occhi, ventotto anni, Vivian ha risposto a un’inserzione sul New York Herald Tribune. Cercavano una tata. Un lavoro giusto per lei. Le famiglie l’hanno sempre incuriosita. La affascina entrare nel loro mondo, diventare spettatrice dei loro piccoli drammi senza esserne partecipe, e osservare la recita, la pantomima della vita da cui soltanto i bambini le sembrano immuni. La giovane madre che l’accoglie ha labbra perfettamente disegnate con il rossetto, capelli acconciati in onde rigide, golfini impeccabili. Dietro il suo perfetto abbigliamento, però, Vivian sa scorgere la crepa, il muto appello di una donna che sembra chiedere aiuto in silenzio. Del resto, questo è il suo lavoro: prendersi cura della vita degli altri. L’accordo arriva in fretta. A lei basta poco: una stanza dove raccogliere le sue cose; una città, come New York, dove potere osservare le vite incrociarsi sulle strade, scrutare mani che si stringono, la rabbia di un gesto, la tenerezza in uno sguardo, l’insopportabile caducità di ogni istante. Ed essere, nello stesso tempo, invisibile, sola nel mare aperto della grande città, a spingere una carrozzina o a chinarsi per raddrizzare l’orlo della calza di un bambino. Scrutare i gesti altrui e guardarsi bene dall’esserne toccata: questa è, d’altronde, la sua esistenza da tempo. Troppe, infatti, sono le ferite che le sono state inferte nell’infanzia, quando la rabbia di un gesto – di sua madre, Marie, o di suo fratello Karl, animati dalla medesima ira nei confronti del mondo – si è rivolta contro di lei. Sola nella camera che le è stata assegnata, Vivian scosta le tende dalla finestra, lancia un’occhiata al cortiletto ombroso e spoglio nel sole morente di fine giornata, estrae dalla borsa la Veronasua Rolleiflex e cerca la giusta inquadratura per catturare il proprio riflesso che appare contro l’oscurità del vetro. È il solo gesto con cui Vivian Maier trova il suo vero posto nel mondo: stringere al ventre la sua macchina fotografica e rubare gli istanti, i luoghi e le storie che le persone non sanno di vivere.
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Vivian Mayer ha vissuto nell'anonimato, abbiamo pochissime testimonianze sulla sua vita. Il suo talento fotografico è stato riconosciuto solo dopo la sua morte. Era una donna sola, lavorava come bambinaia, scattava fotografia ma non sviluppava i rullini e non le stampava. Le sue fotografie sono veramente molto belle, molto espressive, rappresentano le emozioni. Il libro “Dai tuoi occhi solamente” dovrebbe essere la sua biografia, ma non lo è. La scrittrice in una nota a fine testo dichiara “Ma al di là delle fonti, questo romanzo è in larga misura frutto della fantasia letteraria”. Il romanzo narra una storia di violenza di solitudine, da molti punti di riflessione, è ben scritto, ma non è la vita di Vivian Mayer.
Storia romanzata della famosa fotografa Maier, della quale si hanno in realtà poche notizie e su cui l'autrice scrive una sua versione della vita. Libro certamente apprezzabile ma che non ho sentito particolarmente, altri titoli della Diotallevi li ho trovati più coinvolgenti.
Navigando sul web si possono ammirare gli innumerevoli scatti di questa particolare fotografa. Le foto sono affascinanti, momenti rubati con maestria per le strade di New York (e non solo). Il racconto invece non mi ha entusiasmato, anche se scritto con passione e onestà
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