L' ho letto in un periodo di notevole dolore, per un lutto. Prima lo avevo in libreria, ma non lo avevo mai toccato, ritenendolo troppo "triste". E' stata una grande sorpresa, un libro fantastico, affascinante ed interessante. Anche consolatorio, contrariamente a quello che potevo pensare. Certe conclusioni mi sembrano, forse purtroppo, insostenibili. Tuttavia, per molto tempo, in quel particolare periodo, mi sono trovato a pensare, forse sorprendentemente: accidenti, questo signore pensa le stesse cose che penso io adesso, e che mi sembrano forse insensate. Ma lui ci ha scritto un libro, anzi un grande libro. Purtroppo, io non sono capace di fare altrettanto.
Del sentimento tragico della vita negli uomini e nei popoli
"Esiste qualcosa che, in mancanza d'altro nome, chiameremo "il sentimento tragico della vita", che porta dietro di sé tutta una concezione della vita stessa e dell'universo, tutta una filosofia più o meno formulata, più o meno cosciente. Questo sentimento possono averlo, e l'hanno, non solo uomini individuali, ma interi popoli; è un sentimento che non nasce dalle idee, ma piuttosto le genera, sebbene dopo, è chiaro, queste idee reagiscano su di esso, fortificandolo. Può nascere da una malattia accidentale, da una dispepsia, per esempio, ma può anche essere costituzionale. E non serve parlare di uomini sani e malati. A parte il fatto che non abbiamo una nozione normativa della salute, nessuno ha provato che l'uomo debba essere per natura gioioso. C'è di più: l'uomo per il fatto di essere uomo, di avere coscienza, è già, rispetto all'asino o al gambero, un animale malato. La coscienza è una malattia".
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Anno edizione:2003
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FLAVIO CAPUTO 02 gennaio 2014
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