Nonostante quella del Dossi sia ormai una misoginia d’antan, una misoginia incondivisibile a mio avviso, non si può non rimanere affascinati dal suo sapiente ed immaginifico uso della lingua -della lingua in ogni suo minimo aspetto-. La critica alla società, seppur asperrima e acutamente ossessiva, è solo un pretesto; è solo il teatrino satirico nel quale mettere in scena il dramma delle parole: un gioco al massacro in cui l'espressività del linguaggio viene tesa al massimo grado verso la deformazione espressionistica dell'intera umanità e di cui la critica alla donna è solo un pallido riflesso. Oltre Dossi forse, almeno in Italia, si spingerà solo Gadda.
La desinenza in A
Suddivisa in tre atti, ciascuno di dieci scene, quasi fosse la parodia di uno spettacolo di varietà, "La Desinenza in A" (1884) è una disincantata galleria di ritratti femminili che «formano una sola tragicommedia: “la Donna”»: così si legge nella brillante prefazione dell'autore, che definì il libro «una bricconeria fatta da un galantuomo». Fra bozzetti satirici, pitture d'ambiente e divagazioni saggistiche, l'opera è una lunga invettiva contro il genere femminile, un furioso trattatello sugli inganni muliebri e al tempo stesso un acido e spietato affresco della condizione della donna nel secondo Ottocento, tratteggiata con realismo iconoclasta. Pamphlet misogino che si inserisce in un filone classico ma rispecchia anche i velenosi risentimenti personali dell'autore, "La Desinenza in A" conferma come l'originalità di Dossi non risieda certo nella trama, evanescente e sfilacciata anche se si tratta del suo testo forse più ambizioso dal punto di vista costruttivo, ma nel virtuosismo linguistico, nel pastiche stilistico, nella invenzione lessicale e sintattica. Introduzione di Guido Lucchini.
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Anno edizione:2023
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ROBERTO NESPOLA 07 marzo 2017
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