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I detective selvaggi - Roberto Bolaño - copertina
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I detective selvaggi
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I detective selvaggi - Roberto Bolaño - copertina
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Descrizione


Una specie di falso poliziesco, o di sarcastico on the road, a cavallo di due tempi in cui avrebbe potuto succedere tutto, il tempo delle avanguardie artistiche e il tempo della gioventù "alternativa" anni Sessanta e Settanta. Arturo Belano e Ulises Lima, sedicenti poeti e piccoli trafficanti, adepti di un'improbabile ed estrema avanguardia, il "realvisceralismo", cercano in America Latina la mitica fondatrice della loro avanguardia, Cesárea Tinajero, creatrice di un'unica composizione inedita e scomparsa nel nulla in anni distanti. Vita e opinioni raccontate, avanti e indietro nel tempo. Due momenti si incardinano l'uno nell'altro: al presente dei due detective che inseguono le tracce di Cesárea, in compagnia di un diciassettenne alla scoperta del sesso e di una prostituta adolescente in fuga dal suo protettore, seguono gli indiretti resoconti, vent'anni dopo, di testimoni che conobbero Arturo e Ulises e sanno che fine fecero. Un vagabondare irrequieto in cui ogni evento, ogni personaggio sembrano sdoppiare indefinitamente le possibilità della vita, senza che nessuno riesca alla fine ad afferrarne alcuna. E si può leggere come la metafora di una generazione, ma anche come l'epica iconoclasta e feroce di un continente il cui spirito si esprime al meglio nelle finzioni borgesiane e nelle desolate solitudini dei "macondo". E finzioni e macondo sembrano vivere entrambi nelle invenzioni di Bolaño, fatte di apocrifi e verità storiche indistinguibili, di futili grandezze e magnifiche miserie.
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Dettagli

2009
21 maggio 2009
808 p., Brossura
Los detectives salvajes
9788838923890
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Indice


Le prime frasi del romanzo:

2 novembre

Sono stato cordialmente invitato a far parte del realismo viscerale. Naturalmente, ho accettato. Non c’è stata cerimonia di iniziazione. Meglio così.

3 novembre

Non so bene in cosa consista il realismo viscerale. Ho diciassette anni, mi chiamo Juan García Madero, sono al primo semestre di giurisprudenza. Io non volevo studiare giurisprudenza, bensì lettere, però mio zio insisteva e alla fine ho dovuto cedere. Sono orfano. Diventerò avvocato. Fu questo quel che dissi a mio zio e a mia zia e poi mi chiusi in camera e piansi tutta la notte. O almeno una buona parte. Poi, con apparente rassegnazione, entrai alla gloriosa Facoltà di Giurisprudenza, ma dopo un mese mi iscrissi al seminario di poesia di Julio César Álamo, alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e così conobbi i realvisceralisti, o viscerrealisti o perfino vicerealisti, come a volte gradiscono farsi chiamare. Fino ad allora ero stato solo quattro volte al seminario e non era mai successo niente, dico per dire, perché a ben pensarci succedeva sempre qualcosa: leggevamo poesie, e Álamo, a seconda dell’umore, le lodava o le polverizzava: uno leggeva, Álamo criticava, un altro leggeva, Álamo criticava, un altro ancora leggeva, Álamo criticava. A volte Álamo si annoiava e diceva (a quelli che in quel momento non stavano leggendo) di criticare anche noi, e allora noi criticavamo e Álamo si metteva a leggere il giornale.
Era il metodo perfetto perché nessuno fosse amico di nessuno o perché le amicizie si fondassero sulla malattia e sul rancore. D’altra parte non posso dire che Álamo fosse un buon critico, anche se parlava sempre di critica. Adesso credo che parlasse per parlare. Sapeva cos’era una perifrasi, non benissimo, ma lo sapeva. Non sapeva, però, cosa fosse una pentapodia (la quale, come tutti sanno, nella metrica classica è un sistema di cinque piedi), non sapeva nemmeno cosa fosse un nicarcheo (che è un verso simile al falecio), né cosa fosse un tetrastico (che è una strofa di quattro versi). Come faccio a sapere che non lo sapeva? Perché commisi l’errore, il primo giorno di seminario, di domandarglielo. Non so cosa mi fosse saltato in testa. L’unico poeta messicano che sa a memoria queste cose è Octavio Paz (il nostro grande nemico), tutti gli altri non ne hanno la più pallida idea, almeno questo è quanto mi disse Ulises Lima qualche minuto dopo che entrassi e fossi amichevolmente accolto nelle file del realismo viscerale. Facendo quelle domande a Álamo avevo dato prova, come non tardai ad accorgermi, della mia mancanza di tatto. All’inizio pensai che il sorriso che mi rivolgeva fosse di ammirazione. Poi mi resi conto che era di disprezzo. I poeti messicani (immagino i poeti in genere) detestano che gli si ricordi la loro ignoranza. Ma io non mi lasciai intimorire e dopo essermi visto distruggere un paio di poesie al secondo seminario cui partecipai, gli domandai se sapesse cos’era un rispetto. Álamo pensò che gli stessi chiedendo rispetto per le mie poesie e giù a parlare di critica obiettiva (tanto per cambiare), che è un campo minato che ogni giovane poeta deve attraversare, eccetera, ma io non lo lasciai continuare e dopo avergli spiegato che mai nella mia breve vita avevo preteso rispetto per le mie povere creazioni tornai a formulargli la domanda, questa volta cercando di scandire la parola con la maggiore chiarezza possibile.
— Non tirarmi fuori cazzate, Garcia Madero — disse Álamo. — Un rispetto, caro maestro, è un genere di componimento lirico, amoroso per essere più esatti, simile allo strambotto, composto di sei o otto endecasillabi, i primi quattro in forma di sirventese e i seguenti in distici rimati. Per esempio... — e già mi preparavo a fargli uno o due esempi quando Álamo si alzò di scatto e diede per conclusa la discussione. Quel che accadde dopo è confuso (anche se ho buona memoria): ricordo la risata di Álamo e le risate dei miei quattro o cinque compagni di seminario, probabilmente a una felice battuta consumata alle mie spalle.
Un altro, al posto mio, non avrebbe più rimesso piede là dentro, ma io, malgrado gli infausti ricordi (o malgrado l’assenza di ricordi, in quel caso altrettanto se non più infausta della conservazione mnemonica degli stessi), la settimana dopo ero di nuovo li, puntuale come sempre.

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 5/5

Io adoro fare i puzzle. Per me Natale non è Natale se Babbo Natale non mi porta un nuovo puzzle da costruire! E' un gioco che mi rilassa e mi diverte. Prendo una tessera, la rigiro tra le mani, la osservo, cerco di comprendere quale sarà il suo ruolo nell'insieme, la sua collocazione. A volte lo comprendo in un attimo e istantaneamente va al suo posto, altre volte il suo aspetto non lo riconosco e il suo posto nel quadro finale rimane oscuro, e allora la metto da parte per riprenderla poi, successivamente, quando il quadro avrà preso una forma più definitiva e chiara. E' un gioco di pazienza certosina, ma alla fine ogni tassello inevitabilmente trova la sua collocazione nel disegno finale che va componendosi poco alla volta e che, credetemi, è sempre un capolavoro. E poco importa se fin dall'inizio sapevo cosa sarebbe apparso, perché il piacere vero sta proprio nell'analizzare tassello per tassello, pennellata per pennellata, ogni singolo elemento. Ed ogni pennellata è una storia a sè, che trasmette un po' dell'amore, della sofferenza, delle inquietudini dell'artista. Questo libro è così.

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Conosci l'autore

Roberto Bolaño

1953, Santiago

Abbandonato il Cile all’indomani del colpo di stato che portò alla dittatura di Augusto Pinochet, Roberto Bolaño visse dapprima in Messico e poi in Spagna, dove si stabilì definitivamente. Dopo aver pubblicato diverse raccolte di poesie, ottenne la consacrazione presso critica e pubblico come autore di romanzi e racconti nei quali ebbe modo di dispiegare una scrittura e un’inventiva originali, maturate attraverso un lungo confronto con i classici e le avanguardie letterarie, in particolare con il surrealismo e l’opera di Jorge Luis Borges. Nel 1993 pubblicò La pista di ghiaccio, nel quale, affidando il racconto di uno stesso crimine a tre diversi personaggi, dimostrò la predilezione e il talento per la costruzione di strutture narrative...

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