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Libro incluso nella cinquina finalista del Premio Campiello 2023Libro presentato da Nadia Terranova nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2023.
Diario di un’estate marziana è il racconto di uno scrittore che a Roma ha vissuto abbastanza da non riconoscerla più, il resoconto di una passeggiata nel tempo: non in ordine cronologico, però, non strettamente, l’ordine è quello dei salti temporali, delle brevi sospensioni, degli appunti mentali, delle domande al passato e delle risposte immaginate.
La passeggiata ha una sua storia, la flânerie una sua epica, la promenade una sua grammatica. A Roma, città metafisica in cui è impossibile spostarsi da un punto all’altro senza intoppi, il camminatore è un sovversivo. Tommaso Pincio passeggia per Roma come passeggiasse nel Novecento, il secolo che sta sempre finendo, il secolo che sta durando più di quanto s’era detto. Ennio Flaiano lo accompagna, a volte qualche passo avanti, a volte rimanendo bloccato negli infiniti cantieri: la suprema e tollerante indifferenza della Capitale l’aveva capita bene lo scrittore abruzzese. Solo in una città che si deteriora così infallibilmente e così pigramente è possibile imbattersi nel passato, vero e sognato; solo durante una stagione in cui i romani sono via, altrove – sono scappati – Tommaso Pincio può concedersi di posare uno sguardo sulla polvere delle cose: dei premi letterari, del cinema, della cultura ufficiale.
Proposto da Nadia Terranova al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:«In questo libro si cammina, e molto. È un camminare generativo in cui il tempo si ridisegna e le parole si fanno precise, mentre l’eredità di Ennio Flaiano si traduce in passi lontani dalla staticità di un bagaglio e si libera, finalmente, da un’aura restrittivamente iconica e postuma. Ragionare insieme alla vita di Flaiano diventa qui interrogativo sul presente, con occhi disillusi ma non sconsolati. Tommaso Pincio instaura un dialogo con il vincitore del primo Premio Strega che fuoriesce dalla logica binaria del corpo a corpo e racconta, per attraversamenti e andirivieni, anche la storia di una città ipernarrata riuscendo nel piccolo miracolo di una originalità persistente, non inseguita ma come trovata per strada. E forse sono i libri più belli quelli che scappano di mano, trasformando chi li scrive e poi chi legge in un modo misterioso e inesorabile. Diario di un’estate marziana ha molti meriti e porta a termine alcune rivoluzioni, a cominciare dall’aver trasformato quel sostantivo, marziano, in un aggettivo. Pincio non rinuncia alla narrazione ma non sceglie un genere, si apre a una nuova grammatica che ha costruito libro dopo libro e trova qui il suo esito più felice. Esistono ancora i salotti letterari, anche se le poltrone in velluto sono diventate bacheche dei social network? C’è un’anima dei premi letterari? In quante e quali forme sono legati uno scrittore e una città? Cosa intendiamo per romanzo? Sono alcune delle questioni che mi sono rimaste da queste pagine, scritte con la freschezza e la profondità di chi ha usato un terzo occhio per guardare a fondo dentro una vita, anzi almeno due.»
Questo di Pincio non è un libro su Roma, non è un libro sull’estate, non è un libro su Flaiano o sulla “dolce vita”; non è un diario, non è un saggio, è una raccolta volutamente disordinata di pensieri su tutte le cose appena elencate e che però, alla fin fine, mi è sembrata scritta in maniera così costruita da non lasciarmi quasi niente. Una visione troppo nostalgica della “dolce vita”, troppo romantica di Flaiano e della sua opera, troppo (decisamente troppo) retorica su Roma; anche le quasi duecento pagine, forse, sono un po’ troppe. C’è qualche appunto che merita (uno su tutti: quello sul Premio Strega), ma in generale penso che la dimensione narrativa della flânerie evocata nel risvolto sia meglio cercarla altrove.
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