Don Chisciotte e l'estetica della subordinazione
In Don Chisciotte il divenire sembra caratterizzato da una certezza dell'accadere che non prende minimamente in considerazione una possibile sconfitta; non ha alcuna paura e vive il suo agire come un farsi delle certezze della sua fede che lo assorbe completamente. È quello che si prospetta essere estetica del subordinato. È solo Don Chisciotte, solo nei suoi pensieri, nelle sue convinzioni utopiche; la solitudine di cui si fa interprete non è però rassegnata, anzi, si dimostra combattiva proprio in virtù della forza dell'utopia, del sogno che la genera. Per lui sono tutti gli altri che sbagliano, lui solo è nella verità; è un visionario, crede di vedere una realtà che invece è solo nei suoi pensieri, non sa di vedere solo ciò che il suo desiderio gli costruisce, così il viaggio, impreciso e improvvisato nell'esaltazione, si farà incubo. Neppure il fido Sancho lo capisce, seppure lo segua. Vede castelli in luogo di osterie, e "smisurati giganti" nei mulini a vento; forse nel vorticare delle pale vede il passare del tempo, dei giorni, delle ore e della Storia. È in balia di un'utopia, di un sogno, di una fede e di un ideale che lo sovrasta, che aliena ogni possibilità di verifica, di coscienza del reale. Eppure continua imperterrito, senza esitazione, a dare voce al suo progetto, fino alla fine.
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Anno edizione:2017
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