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Sete - Amélie Nothomb,Isabella Mattazzi - ebook
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Descrizione


Dopo il processo e il giudizio di Pilato, Gesù trascorre la sua ultima notte in cella, profondamente afflitto dalle incredibili testimonianze dei suoi miracolati. Nello spazio-tempo creato dalla inesauribile penna di Amélie Nothomb prende vita questo romanzo in prima persona in cui la figura più universalmente nota al mondo occidentale, ma anche la più oscura, racconta di sé sulla soglia della propria morte. Ne viene fuori una preghiera urlata come un tributo alla vita, come un inno alla fragilità dell’umano, alla gioia del corpo, all’abbandono dei sensi, alla paura, alla sofferenza, alla compassione, a quella strana cosa che si chiama amore.
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Dettagli

Testo in italiano
Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
128 p.
Reflowable
9788862434515

Valutazioni e recensioni

ercole
Recensioni: 3/5
2.5 stelle

Ero indeciso se dare due stelle e mezzo piuttosto che tre, ma considerando i diversi elementi degni di nota presenti nel romanzo mi sono deciso a protendere verso l’eccesso e non verso il difetto. Più importante tra questi elementi è l’aver restituito un corpo a Gesù Cristo. L’autrice, infatti, è riuscita finalmente a rendere carnale un’incarnazione che sembrava essere totalmente spirituale. Gesù, l’uomo straordinario e senza macchia, senza peccato, che dispensa miracoli a destra e a manca, uomo di bontà e intelletti superiori, ha sempre dovuto fare i conti con una realtà antitetica alla sua natura: tutte queste caratteristiche non sono umane, non appartengono a un incarnato. Gesù è sempre stato troppo vicino allo spirito, a suo padre per essere considerato veramente uno di noi, e questo libro riesce a dissipare ogni dubbio sulla sua corporeità. Vengono narrati in prima persona gli ultimi giorni del suo supplizio, e ci viene mostrato un Gesù che ha freddo, fame, che soffre e desidera un corpo da stringere, un Gesù non estraneo al sesso e all’amore ma, soprattutto, un Gesù che ha sete. La sete è Dio. Il sorso d’acqua che ci rinfresca la gola dopo giorni d’arsurs è Dio. E Dio non è ciò che disseta, ma ciò da cui continueremmo a bere senza sosta, senza mai dissetarci. È quel sorso d’acqua protratto all’infinito. Il mio giudizio non è superiore perché ho trovato, in certi punti, una scrittura troppo moraleggiante. Mi è parso che Nothomb, nascondendosi dietro la maschera di Gesù, solidificasse a fatti mere opinioni, senza che ce ne fosse il reale bisogno. Questi elementi mi hanno guastato la lettura, e dunque dò tra le due e le tre stelle.

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Danjela90
Recensioni: 4/5
Wow

Ho amato lo stile di scrittura dell'autrice. La scelta di raccontare la vita di Gesù nella sua umanità la trovo molto rischiosa ma geniale.

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Francesca Colantoni
Recensioni: 5/5

“Ho sempre saputo che mi avrebbero condannato a morte. Il vantaggio di avere una certezza come questa è che posso accordare la mia attenzione a quanto lo merita davvero: i dettagli” (p.7) Trentatré anni, cinquantacinque chilogrammi di peso e morto in croce. Chi vi ricorda? Ebbene sì, è proprio lui. Stiamo parlando di Gesù che in questo monologo dai toni diretti, informali e a tratti gustosissimi si racconta in prima persona e ci fa partecipi dei pensieri intimi e umanissimi durante il suo calvario. Gran parte del racconto, però, non ricalca fedelmente la storia tradizionale di Gesù. E’ un Gesù che adora bere, mangiare, dormire e ama con passione, tutt’altro che platonica, Maria Maddalena: è umano nelle sue fragilità. Gioisce e soddisfa il proprio corpo con tutti i piaceri, effimeri e non, della vita. Il romanzo inizia con il processo farsa, in cui i grandi accusatori, ingrati, sono gli stessi miracolati da Gesù che, mentre testimoniano, lo lasciano sbigottito a tal punto da chiedersi quale sia l’enigma della mediocrità, giacché godono a comportarsi come miserabili di fronte ai suoi occhi: “Sono un falso calmo. Mi è costato uno sforzo enorme ascoltare quelle litanie senza reagire. Ogni volta ho guardato i testimoni negli occhi senz’altra espressione che una dolcezza stupita. Ogni volta hanno sostenuto il mio sguardo, con arroganza, mi hanno sfidato, squadrandomi dall’alto in basso” (pp.8-9). Le testimonianze irritano non di meno Ponzio Pilato che, sebbene le ritenga banali imposture, decide, trattandosi di politica, di condannarlo comunque: “Pilato si alzò e dichiarò: Accusato sarai crocefisso. Ho apprezzato molto la sua economia di parole. La natura della lingua latina non consente pleonasmi. Avrei trovato insopportabile che dicesse << sarai crocifisso a morte>>. Una crocefissione non contempla altri finali possibili” (p.11). Da questo momento in poi il soggetto principale del romanzo, oltre Gesù come persona, è il suo corpo. Nell’educazione giudaico cristiana ci insegnano come il corpo sia disprezzabile e che la sola parte stimabile dell’individuo sia, invece, l’anima: questa tesi, qui, è completamente ribaltata. “In trentatré anni di vita ho avuto modo di rendermene conto: il più grande successo di mio padre è l’incarnazione. Che un essere disincarnato abbia avuto l’idea di inventare il corpo è un colpo di genio senza pari” (p.16). Sete non è solo un romanzo sulla colpa, sul perdono, sulla fede, sull’amore, sul dolore e sulla paura. Sete è un vero e proprio inno all’amore nei confronti del nostro corpo. Attraverso di esso compiamo azioni e proviamo sensazioni straordinarie: “Prima dell’incarnazione non avevo peso. Il paradosso è che bisogna essere pesanti per conoscere la leggerezza. (…) Non lo ripeterò mai abbastanza: avere un corpo è quanto di più bello possa capitare. (…) Non è esattamente la pelle, è appena più sotto. Lì risiede l’onnipotenza” (pp.22-23). L’esaltazione del corpo avviene in lui, soprattutto, attraverso la sete, l’amore e la morte. Tre elementi che accentuano la sua natura corporea. “(…) tre attività che necessitano di un corpo. Anche l’anima è indispensabile, certo, ma non può in alcun caso bastare da sola” (p.67). La sete, più di tutto, è la sensazione nella quale si riassume l’assoluto dell’esperienza umana. Non è un caso che Gesù abbia scelto di nascere in Palestina. Non solo, infatti, è dilaniata politicamente, ma è una terra ad alto tasso di arsura: “Nessuna sensazione come la sete riesce ad evocare meglio ciò che voglio ispirare. Forse perché nessuno l’ha mai provata quanto me. In verità vi dico: ciò che sentite quando state morendo di sete, coltivatelo. Lo slancio mistico non è che questo. E non è una metafora. (…) L’istante ineffabile in cui l’assetato porta alle labbra un bicchiere d’acqua è Dio. E’ un istante di amore assoluto e di meraviglia senza limiti. (…) Io sono venuto a insegnare questo slancio, nient’altro. (…) Io sono colui che prova questo esatto amore per tutto l’esistente. Questo è essere il Cristo” (pp.39-40-41). La salita al Golgota e la conseguente crocefissione sono il punto più alto del romanzo. Centrale in questa parte è la messa in discussione di Dio da parte di Gesù. Infatti, quest’ultimo rimprovera al padre che, attraverso la crocefissione presentata come una lezione di amore edificante, sia insegnato agli uomini, invece, l’odio per il proprio corpo. Questo farà talmente male all’umanità da renderla infelice a forza di masochismo: “Questa crocefissione è un errore. Il progetto di mio padre doveva mostrare fin dove ci si può spingere per amore. Se questa idea fosse solo stupida, potrebbe limitarsi a rimanere inutile. E invece no, è anche tremendamente nociva. Una sfilza di uomini sceglierà il martirio a causa del mio esempio imbecille. E fosse solo questo! Perfino coloro che avranno la saggezza di optare per una vita semplice ne saranno contagiati. Perché ciò che mio padre mi infligge testimonia un disprezzo così profondo del corpo che non può non lasciare tracce” (p.67). Dio è puro amore, è l’idea divina di questo sentimento. Gesù è, invece, un uomo che ama con ogni suo gesto, attraverso il suo corpo: “L’amore è una storia, bisogna avere un corpo per raccontarla” (p.68). L’intero progetto, il fine ultimo della sua discesa sulla terra, rivela così tutta la sua insensatezza. E l’assurdità risiede proprio nell’andare contro un precetto fondamentale dei Vangeli, fulcro dell’etica cristiana: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Come può Gesù amare gli altri se è il primo che non si ama, sottoponendosi a tale supplizio? Come può essersi sbagliato a tal punto, avvallando il progetto demenziale del padre? La responsabilità personale e il libero arbitrio che importanza hanno per lui? A tutte queste domande Gesù s’interroga e risponde attraverso la penna acuta di Amelie Nothomb che, con uno stile essenziale, ci restituisce le sue ultime ore di vita ritraendolo quanto mai umano e ironico, anche nei momenti in cui è sottoposto alla più spietata efferatezza. “Per provare la sete, occorre essere vivi. Io ho vissuto così intensamente da morire assetato. Forse é proprio questa la vita eterna” (p.105). E’ un romanzo folgorante e geniale, incentrato sull’importanza del corpo, ma, nondimeno, sono centrali il libero arbitrio e la responsabilità individuale. Per comprenderlo occorre, però, conoscere la storia personale della scrittrice, che ha subito nell’infanzia dolori e traumi atroci: si può pensare, altrimenti, sia solo dissacrante e blasfemo quando, invece, vuole portare all’attenzione un punto di vista degno di riflessione. E’ talmente coinvolgente che si legge tutto d'un fiato, come bere un bicchier d’acqua!

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Amélie Nothomb

1966, Etterbeek

Scrittrice belga. Figlia di un ambasciatore membro di una delle famiglie più in vista del suo paese ha trascorso l'infanzia in Giappone, per poi trasferirsi in Cina al seguito del padre diplomatico.I suoi libri hanno ormai conquistato milioni di lettori e fans appassionati. L’esordio a soli ventitré anni con Igiene dell’assassino, cui ha fatto seguito, ogni anno, un romanzo accolto con identico successo. Laureatasi, decide di ritornare a Tokyo per approfondire la conoscenza della lingua giapponese studiando la «langue tokyoïte des affaires»: assunta come traduttrice in una enorme azienda giapponese, vive un'esperienza durissima che racconta in seguito nel libro Stupore e tremori, che riceverà il Grand Prix du Roman dell'Académie...

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