(Bilbilis, Spagna Tarragonese, 40 ca - 104) poeta latino. Visse a Roma 34 anni: vi era giunto in cerca di fortuna, contando anche sull’aiuto delle potenti famiglie spagnole della capitale; ma nella capitale visse sempre nella umiliante e precaria condizione del cliente, cercando benefici con la poesia e perfino col servilismo letterario. Non ottenne che un piccolo podere a Mentana, una casa senz’acqua a Roma, agevolazioni fiscali e nomine onorifiche. Lo protessero, per così dire, i Flavi, specie Domiziano, verso il quale l’atteggiamento di M. è quello del cortigiano. Morto Domiziano nel 96, M., emarginato e screditato (diffamò, per ragioni clientelari, la memoria di Domiziano), tornò alla città natale, dove, protetto dalla ricca vedova Marcella, pubblicò l’ultimo libro.L’opera di M. comprende quattordici libri di epigrammi, oltre al Liber de spectaculis, il cui titolo risale al 1602: giuntoci forse mutilo, consiste in 33 epigrammi pubblicati nell’80, in occasione della fastosa inaugurazione del Colosseo fatta da Tito, al quale il Liber è dedicato. La maggior parte degli epigrammi furono pubblicati sotto Domiziano. Nell’84-85 videro la luce i due libri degli Xenia (distici destinati ad accompagnare i doni per amici e parenti nelle feste dei Saturnali) e degli Apophoreta (coppie di distici di accompagnamento ai regali che i convitati di un ricco ospite estraevano a sorte e si portavano via), che nella tradizione manoscritta costituiscono il XIII e il XIV libro; nell’86 apparvero il I e il II; nell’88 il III; dall’88 al 97 i libri IV-XI e nel 101-102 il XII. M. si dedicò esclusivamente all’epigramma (quasi sempre in metro elegiaco: 1235 su 1561), diventandone il maestro. Interpretava così lo spirito del secolo, amante delle costruzioni intelligenti e sentenziose. Molti dei suoi epigrammi, in ossequio a tale gusto, sono occasionali e pirotecniche variazioni sui temi logori dell’ipocrisia e della bassezza umana. M., tuttavia, non è un imitatore: si ispira direttamente alla vita di Roma e sa osservarla con una finezza e un concreto senso del reale che sono le sue doti native migliori, spesso offuscate dalla fredda ingegnosità della derisione.