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Un eroe - A. Fahradi (gen 2022). La pellicola si divide in quattro parti, proprio come una fetta di pane naan. In limine, il debitore insolvente Rahim Soltani esce di prigione per un permesso premio con lo scopo di saldare il debito contratto. Separato dalla moglie, con un figlio a carico, vede la luce in fondo al tunnel grazie alla nuova compagna che gli consegna una borsa contenente delle monete d'oro con le quali si potrebbe sdebitare. A questo punto comincia la seconda parte del film, nella quale Rahim è mosso da una serie di angoscianti pensieri: adoperare l'oro o restituirlo alla legittima proprietaria? In che modo ripulirsi la coscienza (leggi anche: fedina penale)? Come fare per venirne fuori? La storia si complica quando sull'uomo si accende la luce mediatica: prima il carcere, poi la televisione, infine Facebook rendono la storia virale. A questo punto, inizia la quarta parte: la catena intricatissima di eventi assume i tratti della teoria dell'ostrica verghiana. Come da manuale, quando il vinto prova a migliorare la sua disperata situazione, questa gli si ritorce contro in modo da far perdere al disgraziato anche quel poco che si era guadagnato col sudore e con il sangue. E, sempre come da copione, Fahradi presenta un protagonista che, in maniera ossimorica rispetto al titolo, mostra i tratti dell'antieroe perché per quanto tutti provino in ogni modo a riabilitarlo commette una serie di comportamenti biasimabili con effetti a catena; infatti, pendente sulla sua testa fin dal principio c'è una spada di Damocle che riporta metaforicamente la sua condanna preannunciata. E, se non è possibile alcuna redenzione per il reo, sadicamente il cineasta iraniano gli offre la possibilità di giocare le sue carte. Da buon narratore esterno ed impersonale, tutto sa, ma osserva impassibile la sua inesorabile descensio ad inferos come dimostra la stessa logica narrativa ciclica che riporta e risbatte il nostro antipaladino nello stesso locus horridus da cui tutto prende le mosse.
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