Qualsiasi cosa dicessi di questo libro, non potrebbe mai rendere la bellezza di queste pagine, l'ironia beffarda, la strabiliante capacità di giocare con la letteratura e il genio di questo autore, di cui purtroppo i più conoscono soltanto le poesie. Lo straconsiglio a tutti
Fantasmagonia
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Mostri, spiriti, ombre e possessioni demoniache. Giocando con i generi e con la tradizione letteraria, Michele Mari ci consegna un sorprendente ritratto dell'artista da spettro.
C'è un demone che si aggira fra queste pagine, ed è quello della letteratura. Che sia esso esplicitamente riconoscibile o si nasconda fra le pieghe del quotidiano, è una presenza fantasmatica con cui ciascun personaggio – e dunque ciascuno di noi, nel corpo a corpo incessante che è la lettura – è costretto a fare i conti. Visioni, trasalimenti o semplici incubi. Setacciando con furia catalogatrice le latitudini spaziali e temporali piú disparate, Michele Mari dà forma a un progetto in cui il destino di ogni creatura coincide con quello del suo creatore.
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Anno edizione:2022
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Formato:Tascabile
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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r0ss 15 aprile 2025Un gioiello
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EvadiPalma 21 ottobre 2022L'iridescente madreperlacea malinconia è una forma dello sguardo
Davanti alla bellezza e alla complessità di questo libro si comprende che la letteratura è un demone. Si palesa come presentimento in questi racconti costruiti come premesse di qualcosa che già conosciamo e che viene a noi come una sorta di resoconto da seduta spiritica letteraria. Arriveremo, così, a individuare spiegazioni non necessariamente razionali e talvolta inquietanti a fatti che ben potevano apparirci casuali, il legame tra il Piccolo Principe che fa a botte con Pierino Porcospino e il suo creatore Antoine de Saint-Exupéry e ancora Verlaine, Machiavelli divenuto imago di bestia, l’eziologia della nenia su Crapa Pelada, il terzo fratello Grimm, Achille e il suo lamento in cui tutto il suo destino si fa miserrimo tallone, Mary Shelley, Cecco Angiolieri, Il cielo in una stanza, Omero e Borges che diventano spettatori non vedenti di una partita di calcio, Josef K. del Processo che attraverso mirabolanti ricerche raggiunge i dintorni di Pescia in cerca delle sue origini per scoprire che forse la sua strutturale legnosità ha a che fare col burattino di Carlo Lorenzini e molto altro. Nello svolgimento delle sue trame Mari si appiglia alla minuzia, allo scarto, alla quisquilia alla quale mai avremmo prestato attenzione e da lì risale, dal particolare all’insieme e lungo il percorso a ritroso (la malinconia - come sinestesia - può risiedere poeticamente nelle cose). A lui interessa l’atto creativo, “il sublime e sgraziato soffio mortifero che partorisce gli esseri letterari”. Tutto questo lungo le ambagi delle torsioni di una lingua cangiante e spericolata, che seguiamo sulla montagna russa della sua colta scrittura godendo dei rivoli di una gioia lessicale e sintattica tale da farci venire la voglia di leggerli a voce alta, questi trentaquattro racconti, fino alla commozione. Portandoci a casa un’unica certezza: la malinconia altro non è se non una forma dello sguardo.
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