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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2016
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La ferocia da l'idea di essere stato scritto in periodi diversi e cronologicamente distanti tra loro. Tre periodi per la precisione. E per fortuna che c'è il terzo. Nel primo, quello che scrive è un Lagioia prossimo al delirio. Periodi lunghi, contorti, fumosi, talvolta incomprensibili. Come se l'autore si crogiolasse nella cura del significante, trascurando completamente il significato e ignorando l'esistenza stessa di un ricevente a cui il messaggio si rivolge. Il risultato stanca. Quasi ti viene voglia di tirare il libro per aria e di farla finita. Il secondo momento, è quello del rimorso. Sembra che l'autore si accorga improvvisamente che il fiume di parole che scorre nella prima parte, prevalga prepotentemente sui concetti. Allora comincia drasticamente a tagliare e le sue pagine diventano un insieme di minifrasi, soggetto-predicato-complemento, che hanno come l'obiettivo di sviscerare la trama nel minor tempo possibile, per recuperare quello perso, non si sa perché, nella parte precedente e mettersi in linea col racconto. Menomale che finisce presto. Finisce quando comincia il terzo periodo: finalmente. Lagioia prende a raccontare con maestria, eleganza e cura dei particolari, senza mai perdere di vista la storia, la personalità dei suoi attori, la passione. E ti prende, La ferocia. Ti trascina fino alla fine, lasciandoti quella sensazione insopportabile di sporco, che ti opprime e ti rimane dentro, centrando pienamente l'obiettivo che l'autore, con ogni probabilità, si propone. Due domande: perché pubblicarlo così, senza rivisitare la parte iniziale nel tentativo di addolcire le differenze con il resto del libro? Basta un terzo del romanzo per meritare il Premio Strega?
Una sensazione di distruzione interiore. Un frattura scaturita da un terremoto profondo, radicato. Per parafrasare l’autore Clara è l’epicentro del sisma. “Capiva, soprattutto, che non aveva sterzato per evitarla ma per salvarsi, perché ogni cosa in lei era magnete e assenza di volontà, l’ipnotico richiamo assecondato il quale tutto si fa identico e perfetto, e noi non esistiamo più.” Iniziare questo libro per me è stato davvero complicato. La sensazione era quella di una scrittura artificiosa, innaturale, troppo ricercata. Probabilmente è così, Lagioia cerca le parole giuste, le fa cadere di proposito in un ordine talvolta un po’ insolito e anche quando sembra non dica niente di saliente, è lì che dice tutto. È in quel momento, è con quelle parole che ti annienta con ferocia. La struttura del romanzo, l’ordine delle parole, l’attenzione posta sulla vita di ogni singolo personaggio che ha giocato un ruolo nel destino di Clara, è tutto studiato nei minimi dettagli. Ma davvero possiamo parlare di destino? Non credo. Partiamo dalle prime connotazioni: Clara, che nome particolare. Clara è quel tipo di persona che viene notata immediatamente quando entra in un locale. È quella persona che riempie i vuoti, è quella persona che li svuota. In un certo senso tutti vorremmo essere come lei, avere quel tipo di fulgore, quel tipo di volontà che fa sì che ogni scelta sia quella giusta, anche se sbagliata. Sono state le scelte di Clara a condurla sulla statale 100. Quindi no, non si tratta di destino. Potremmo definirlo così, in un certo senso, considerando che le persone come lei hanno sempre questo tipo di sorte. Ma no, qui si tratta di Ferocia. La ferocia di Clara, la ferocia inaspettata di Michele, la ferocia di Vittorio, la ferocia di tutti gli uomini di Clara, tranne quella di suo marito. È questo il motore in una realtà così ben definita da Lagioia. È anche per questo che mi sono sentita così demolita, la vivida Bari, Taranto, la statale 100, luoghi che frequento costantemente. Clara è entrata nella mia vita e mentre ero sulla statale e leggevo questo libro io la vedevo camminare, andare incontro alle sue scelte e vedevo Orazio che cercava di evitare il centro gravitazionale in cui stava per andare ad abbattersi. Nel frattempo pensavo al senso di abbandono di Michele, alle sue domande e alle sue risposte: “Per Clara l’amore era importante. Lo cercava nel modo assurdo con cui andiamo a caccia di cose che non esistono. Lo sappiamo che non esistono. Eppure ci sbattiamo il muso di continuo.” Per quanto mi riguarda l’unica pecca di questo libro è l’incipit sulla copertina che per mesi non mi ha attirato, credo dovrebbe essere più incline allo spirito magnetico di Clara. Per il resto credo che andrò a recuperare immediatamente gli altri romanzi di Lagioia.
Penso che il Premio Strega vada attribuito ad un'altra tipologia di lettura. Si fa fatica ad entrare nella storia. Troppi passaggi repentini. Finale sbrigativo.
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