Un romanzo complesso e complicato, così come la vita stessa e l'essenza di Vincenzo Gemito, fra gli artisti più mirabili degli ultimi decenni. Un libro che intreccia la lingua italiana con quella napoletana, non senza ovvia difficoltà di comprensione, ma che dà un ritmo e un intreccio musicale molto ben assestato. Non so se consiglierei a chiunque questo libro, che non ho trovato facile, ma al contrario abbastanza ostico in certi punti, dedicato e pensato per un pubblico sicuramente più colto e amante della letteratura di spessore. Se siete fra questi, leggetelo assolutamente.
Scritto in una lingua vigorosa e raffinatissima che con movimento naturale vira verso il registro dialettale, Il genio dell'abbandono è sostenuto, come ha scritto Cesare Segre, da uno slancio drammatico che conferisce ai personaggi "uno stacco e un dinamismo straordinari"
«Sul tema del vuoto, della mancanza di appartenenza e di identità è costruito il bel romanzo di Wanda Marasco» – La Repubblica
«Una scrittura raffinata in cui l'innesto tra il dialetto e l'italiano creano una lingua plurima» – Cesare Segre
«È la storia di un reietto, fatta di cadute e risalite, di trionfi e polvere, quella che la napoletana Wanda Marasco ricostruisce entrando nella testa e nella carne del personaggio. Il dialetto, a tratti inventato, dà una forza enorme al racconto» – Il Venerdì di Repubblica
Il genio dell'abbandono racconta la vita di uno dei grandi scultori italiani fra Otto e Novecento: Vincenzo Gemito. E lo fa mantenendosi in prodigioso equilibrio tra fedeltà al dato storico e radicale reinventazione dello stesso. Wanda Marasco prende le mosse dalla fuga dell'artista dalla clinica psichiatrica in cui è ricoverato, e da lì ricostruisce la storia agitata di un "enne-enne", un figlio di nessuno abbandonato sulla ruota dell'Annunziata, il grande brefotrofio del meridione. Il marchio del reietto – beffardamente impresso nel suo stesso nome che è il risultato di un errore di trascrizione – accompagnerà Vincenzo Gemito per sempre, quasi come un segno di divinazione. Il suo apprendistato lo farà nei vicoli, al fianco di un altro futuro grande artista, il pittore Antonio Mancini, suo inseparabile amico che diventerà anche coscienza di Gemito, suo complice totale e infine suo nemico. Vedremo così "Vicienzo" entrare nelle botteghe in cerca di maestri, avido di imparare. Lo seguiremo a Parigi, tra stenti da bohème e sogni di celebrità, e lo ritroveremo a Napoli, artista ambito da mercanti e da re. Vivremo il suo folle amore per la modella Mathilde Duffaud, che ne segna la vita come un sistema dell'erotismo e del dolore, un impasto di eccessi e delusioni che sfociano in una follia tutta "napoletana": intelligenza alla berlina, incandescenza e passioni spesso arrese a un destino malato di cui il "vuoto" di Napoli voracemente si nutre.
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Anno edizione:2018
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Comincio col dire che non è un libro alla portata di tutti. Lo stile è molto ricercato, poetico e intrecciato con la lingua napoletana, non sempre si ha l'immediata percezione delle situazioni e delle emozioni, specie nella parte iniziale. Si viene avvolti e gettati in un vortice di follia assieme con il protagonista, Vincenzo Gemito, uno degli artisti più singolari di sempre. Il senso di ansia che attanaglia l'intero libro farà di voi la sua preda preferita. Da leggere, assolutamente.
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L’ho comperato perché ingannato dalla solita critica positiva di un amico degli amici. Ci sono cascato altre volte. A parte la totale mancanza da parte dell’autrice di saper costruire una storia credibile sul piano narrativo, la cosa peggiore è quel voler giocare al “nipotino di Gadda” nel senso di cercare di mescolare dialetto e lingua italiana quando evidentemente non conoscendo il dialetto è scivolata in un penoso e stento chiacchiericcio. Ma per i libri non esiste il diritto di ripensamento? Peccato.
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