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Anno edizione: 1990
Anno edizione: 2019
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Due amanti si separano a Parigi, all’inizio dell’ultima guerra. Anni dopo si ritrovano a Stoccolma. La loro storia è cominciata in quella «terra di nessuno, dove l’uomo vive nella libertà e nel mistero». Poi quella vita segreta era stata a poco a poco messa in ombra dalla «seconda vita», la vita comune. E viene il momento di chiedersi: che cosa sussiste di quella storia? Giocando magistralmente sulla tastiera dei sentimenti, la Berberova ha scritto un amaro, sottile apologo sull’amore e la libertà – e soprattutto su quella parte della nostra vita «di cui nessuno sa nulla» e sul come difenderla.
Tra le mani ho un gioiello della letteratura russa del Novecento, "Il giunco mormorante", di Nina Berberova, Adelphi edizioni. Per introdurlo riprendo alcune parole della scrittrice: "Ognuno di noi ha la propria no man's land in cui è totale padrone di se stesso". Con questa frase la Berberova indica l'esistenza in ciascuno di noi di una terra di nessuno, ovvero di un luogo inaccessibile in cui poter vivere i propri sentimenti al di là dei limiti che la mente inevitabilmente costruisce nel mondo reale, ed è proprio questa la premessa fondamentale da cui ha inizio la narrazione di una breve ma intensa storia di amore e di libertà, scritta con tono nostalgico, con poesia e con grande capacità di utilizzare le parole per tracciare gli aspetti della sfera affettiva dell'essere umano.
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Libricino breve e poetico, con temi e citazioni indimenticabili. Un ottimo inizio per scoprire questa notevolissima autrice della inesauribile letteratura russa.
Venezia ha una bellezza dolente, malinconica, tutto sembra quasi posticcio. 𝑖𝑙 𝑔𝑖𝑢𝑛𝑐𝑜 𝑚𝑜𝑟𝑚𝑜𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 di Berberova è così: si muove in punta di piedi attorno a un posto vuoto, dove c'era un amore che ora non c'è più, e del quale rimane una traccia di tepore. E c'è la guerra, e la letteratura russa, e ci sono le persone, intese come un nodo di pensieri e di solitudini che, forse, possono solo accompagnarsi, mai sciogliersi.
La protagonista la chiameremo "Lei". Dopo una citazione iniziale di Ausonio e una lirica di Tjutchev, la breve narrazione comincia in medias res: due amanti stanno per salire su un autobus; lui - Ejnar - torna in Svezia, mentre lei rimane a Parigi. L'atmosfera è soffusa, tutto sembra filtrato attraverso lo spesso vetro verde scuro di una bottiglia. L'autista concede a Lei di accompagnare l'amato in aeroporto, donando alla coppia un'altra ora, tempo durante il quale proveranno a dirsi quello che per giorni avevano meditato senza riuscire ad esprimerselo. La donna rimane sola, continuando ad amare il suo uomo lontano e intorno a lei gli eventi precipitano, anche se per sua stessa ammissione la Seconda Guerra Mondiale con altri è stata molto più inclemente. Lei gli scrive ma le lettere tornano sempre indietro. Sette anni dopo si recherà a Stoccolma per affari e qui si renderà conto che il suo Ejnar nel frattempo si era sistemato con un'altra donna, ma non se ne dà troppa pena. Per caso si incontreranno in un ristorante e lei farà la conoscenza con la moglie. Costei - conoscendo la loro vicenda e dopo aver ammesso senza troppe remore di aver di persona rispedito indietro le missive di Lei - non li lascerà soli un istante. La protagonista deciderà di trattenersi qualche altro giorno con loro, separandosene con la promessa di rivedersi un giorno, forse a Venezia. Una volta giunti tutti qui, non molto tempo dopo, si paleserà presto che la moglie di Ejnar ha una tresca con un suo vecchio compagno di studi, cosa che lei per nulla cela, e anzi fa in modo che i due rimangano soli. Ma a quel punto, il giunco del titolo si ribella - non le serve il permesso di nessuno - piantando in asso la piccola comitiva e andando per la sua strada. Estremamente poetica la prima parte, che lascia presagire un'evoluzione dolceamara, e di sicuro effetto l'incipit. Un testo non tra i maggiori dell'autrice ma che ne mostra l'animo forte, volitivo e determinato a dispetto delle circostanze.
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