Incubatrice umana

BASE AVANZATA GIZA – SALA BRIEFING L’aria nella stanza era soffocante, non per il caldo – i condizionatori sibilavano piano rinfrescando le pareti metalliche – ma per la tensione. Un odore di caffè stantio e sabbia si mescolava a quello più persistente e della carta stampata e della plastica delle attrezzature. Il sottosegretario Leo Shawass era seduto a capotavola, le mani intrecciate davanti a sé. La giacca color kaki gli dava un'aria vagamente militare, ma il volto segnato dalla stanchezza tradiva le troppe notti passate a rileggere i rapporti di missione. Nonostante il suo nome portasse ancora il peso del potere del padre, oggi era qui. E questa missione avrebbe riscritto la storia o per evitare che ciò accadesse. «D'accordo, sentiamo l'aggiornamento finale prima della discesa.» La sua voce era bassa, controllata, ma nel modo in cui fissava gli altri c’era un’urgenza che gli altri riconoscevano, anche se non lo ammettevano. Jim Callahan, seduto alla sua destra, controllava le ultime diagnostiche sul suo tablet. Era l’unico americano nel gruppo, e si vedeva. Polo scura, barba appena accennata, un'energia nervosa da uomo che si fida solo delle cose che può smontare e rimontare con le proprie mani. Lanciò un’occhiata al professor Elia Lamanga, seduto accanto a lui, e scosse la testa. «Il drone è pronto. I protocolli di sicurezza sono stati verificati tre volte. Autonomia operativa di 12 ore, telemetria stabile.» Si passò una mano sulla bocca, come per trattenere un commento più acido. «Sempre che qualcuno non inizi a straparlare di campi elettromagnetici preistorici.»