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Anno edizione: 2013
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Il romanzo di questa giovane e talentuosa scrittrice è incentrato sul difficile rapporto madre-figlia: due donne a confronto, due generazioni che finiscono inevitabilmente con lo scontrarsi in un turbinio di silenzi e segreti. La frase della Dickinson che apre il romanzo "Non posso dirtelo ma lo senti, nè tu puoi dirlo a me" sintetizza alla perfezione i contenuti del testo. Lo stile è asciutto, senza fronzoli e rende la lettura scorrevole e piacevole. Consigliatissimo.
Perché il legno non si lascia scalfire, è tosto. Ma sotto l'acqua può anche ammorbidirsi. Io sono di legno racconta una storia tutta al femminile, fatta di diari e lettere: Mia è una diciottenne che ha tutta l'intenzione di tenere lontano l'amore. Passa le notti con uomini di cui non conosce il nome, e la mattina dopo se ne va, lavando via l'odore di un letto che non è suo. I suoi sabati sera sono discoteca, motorino, sigaretta e via, un altro uomo senza nome la attende. E conosciamo Mia attraverso le pagine del suo diario, scritte di getto e senza mezzi termini. Dall'altra parte abbiamo Giulia, invece, la mamma di Mia. Giulia sembra una madre come tante altre, vorrebbe avere un bel rapporto con la figlia, che a malapena le parla, vorrebbe essere felice, vorrebbe correre, volare... ma i suoi piedi restano ancorati a terra. E il silenzio che regna tra loro la spinge a leggere il diario di Mia. In risposta Giulia sente il dovere di raccontare quell’"essere di legno", la malattia, il tormento di entrambe. Allora scrive la sua storia, la storia di una donna che sembra non avere più nulla da dire, ma che in realtà vuole solo essere ascoltata. Bisogna tornare indietro. E lei lo fa. "Ma vedi, nella storia di ogni persona c'è una diga. Da una parte, l'acqua che cresce e scalcia ed è energia. Oltre lo sbarramento, la terraferma. Tu di me sai la terraferma. E allora ti racconto l'acqua che non hai mai visto." Giulia torna a riflettere sulla giovinezza ferita dall'egoismo e dalla prepotenza di una sorella falsamente perbenista, sul culto delle apparenze della madre e sul conforto che le viene da una giovane monaca peruviana, Sofia. Torna a rivivere i primi passi da medico, fra corsie e sale operatorie, il matrimonio con un primario, la lunga attesa di una maternità sofferta e desiderata. Lo fa per Mia, con lo stesso amore che spinge una donna ad aprirsi per sua figlia, per salvarla dagli ostacoli della vita, per aiutarla, per prenderle finalmente la mano e camminare insieme. E così l'ingranaggio delle parole non dette si svela attraverso parole "di carta”. Leggendole, Mia conosce una madre timorosa che per paura non ha mai voluto battersi. Riconosce se stessa, creatura in cui scorre lo stesso sangue, carne della sua carne e conseguenza del passato sottomesso, carico di segreti e decisioni che soffocano il vero essere, il vero amore della madre. Due voci lontane che per avvicinarsi e trovare pace invocano il coraggio della verità. Una verità difficile che solo sulla carta riesce ad essere svelata. Una verità che fa sbocciare nella figlia un'anima capace di volare e di amare. Io sono di legno è un libro che ti tiene incollato alle pagine dall’inizio alla fine, ti incatena a Giulia e Mia e alle loro storie, alle loro emozioni e alla loro solitudine. Perché in fondo è di questo che si tratta: di solitudine. Di Giulia che nonostante le matrioske, le donne di casa sua, è sola davanti al mondo, in una totale assenza di gesti d’amore. Così quando legge il diario di Mia, di una figlia che le corre davanti senza che lei possa fermarla, riconosce i segni della sua stessa solitudine. Riconosce i segni della paura di amare che forse è ereditaria, perché Mia prova solo un istinto innato di mettersi in salvo, respingendo la tenerezza del suo unico vero amore. Lo so che si dice “l’ho amato con tutto il cuore”, ma io l’ho amato anche con i reni e la milza e lo stomaco, l’ho amato come solo una folle ama. Forse l’autrice intendeva portare avanti in parallelo le due storie, ma sembra che, dopo la primissima parte del romanzo, Giulia le strappi di mano la penna. Mentre lei viene tratteggiata in tutti i suoi aspetti, riservando sempre una sorpresa, una cicatrice, Mia si forma nella mente del lettore come lo stereotipo della ragazza facile, dell’adolescente indisciplinata e difficile. Si ha l’impressione che sia una cornice, in qualche punto. E non si scava nella sua storia per capire il perché. Si scava nella storia della madre, come se il passato non avesse rimedio. Giulia racconta fino ad essere Jubia. Jubia è la passione estrema, trasgressiva, proibita, che riscatta Giulia. È il pericolo, il peccato a cui Giulia non sa rinunciare, che rischia di bruciarla per sempre, sottraendola al suo immoto mondo di certezze, ma regalandole quella dolcezza sognata per tutta una vita. Qual è il dono intenso, lasciato da Giulia a sua figlia, che scioglie i nodi delle due storie? In Io sono di legno la donna è la protagonista indiscussa: che sia madre in cerca di comunicazione o figlia ribelle, è la donna in tutte le sue qualità e difetti ad emergere e stupire. Tra quelle parole di “carta” Mia conoscerà Miguel e Sofia. Tra questa polifonia di personaggi che amano alla follia, conoscerà una madre di legno, esattamente come lei. Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che lentamente lo spaccano. La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no, finché può nasconde, si lascia torturare ma non confessa. L’idea di questo romanzo non è nuova, ma coinvolgente (utilizzato dalla Carcasi, anche se in modo differente nel precedente libro, “Ma le stelle quante sono?”): un racconto a due voci che si dipana lungo un certo arco di tempo, tratteggiando due vite diverse e a volte opposte nella loro complessità, accomunate dal legame più profondo che esista: quello di sangue. Ci si trova coinvolti. Non è il solito tipo di coinvolgimento che fa sentire vicino il personaggio, ma quella sensazione di appartenenza. Perché è della vita di tutti i giorni che si parla, di donne che affrontano la vita, affidandosi a loro stesse. Si è tutte madri e tutte figlie, tutte Mia e tutte desiderose di avere una figlia che porti questo nome. E' questa la magia dell'autrice, rendere protagonisti delle sue storie. Semplici storie. Lo stile, bisogna dirlo, è fantastico: uno stile sincopato ed insieme morbido, fatto di frasi brevi che arrivano chiare e sferzanti all'animo del lettore, fatto di metafore, di immagini che la Carcasi riesce ad evocare tramite frasi piazzate come poesia. Uno stile che sfiora veramente la poesia. Uno stile che lascia la penna e la mente dei lettori liberi di volare, in disegni e pensieri che fanno venire i brividi. Uno stile che ammalia e trascina nel gorgo più profondo delle emozioni. La storia è perfetta: ogni incrinatura nella personalità di Giulia o Mia si svela con il passare delle pagine. E con il passare delle pagine si svela anche il perché di questa incrinatura. È molto di più che un romanzo rosa per adolescenti. È una storia difficile ma travolgente, narrata da un’autrice che riesce ad usare le parole come spade. Mia madre mi ha spiegato che capita, ci sono pazienti che sentono il dolore dove non può esserci. Se togli a un uomo la gamba destra, anche a distanza di anni, ci saranno giorni in cui ti dirà che sente la gamba stanca, sì, la destra, gli farà male, proprio la destra. Possiamo smettere di parlarne, possiamo fare in modo che gli altri smettano di parlarne, possiamo annullare una parte di noi e andare avanti, ma il corpo ha una memoria infallibile, si ricorda la sensazione di gambe e braccia anche quando non ci sono più. Si chiama “sindrome dell’arto fantasma”. Mia madre dice che è il dolore di una parte che manca, lo chiama “il dolore dell’assenza”. Così ognuno potrebbe ritrovarsi in una differente fase della storia di Giulia, comprenderla, soffrire e gioire con lei. È un romanzo che rimane nel cuore. È il dipanarsi di storie intrecciate, scelte sofferte, donne di vita e vite di donne. È un libro che insegna, lascia un seme dentro chi legge che pian piano germoglia. È un girotondo di emozioni che si immergono nel passato e poi tornano nel presente, regalando ad esso la possibilità di essere libero. Allora quanto sono siano inutili le regole nella vita? Tanto quanto è assurdo cercare di regolare le cose quando tutto è in balia dell’amore, che è incontrollabile e che abbatte le definizioni e le mura.
Quante volte guardando le nostre madri avremmo voluto leggere i loro pensieri? Capire ciò che realmente pensano, ciò che provano... capire se realmente ci assomigliano se hanno guardato e guardano il mondo coi nostri stessi occhi, se amano e soffrono come noi! Anche Giulia avrebbe voluto capire sua madre... e ora che è madre sa di non essere capita da Mia! Mia non le sa parlare e non la sa ascoltare. Tra loro un muro. Ma Giulia vuole capire e legge il diario di Mia... e inizia a scrivere. Scrive a Mia, si racconta, si fa conoscere per quella che realmente è e che mai nessuno ha conosciuto. Lo fa per Mia! Per evitare che commetta i suoi stessi errori!
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