Joséphine è l'amante meravigliosa che l'autore ha perduto - morta di overdose a trentadue anni. A lei, un anno dopo la sua precoce scomparsa, restituisce voce, particolarità, come quella di indossare un giubbotto di pelle di canguro azzurro, smarrimenti, che molto spesso la colpivano la cui unica soluzione era di ricorrere all'eroina e a una "morte istantanea". Una lettera postuma, scritta affinché "chi non l'ha mai conosciuta, chi non l'ha perduta, possa, leggendola, "innamorarsi perdutamente di lei". Il ritratto di Joséphine è indelebilmente scritto in queste pagine, per combattere la dimenticanza che la morte porta con sé, per testimoniare quanto una persona potesse convivere con una tale energia vita e con dei così distruttivi periodi di angoscia, di depressione e di abuso di droghe e di alcool. Queste pagine riportano la loro storia d'amore, i giorni felici in spiaggia, il primo viaggio in treno e il sesso nella cabina viaggiatori, i loro scherzi, i loro litigi ingiustificati e spesso infantili, la golosità della ragazza per i paris-brest. Ed è anche il rimorso, che si scorge, laconico e doloroso, nelle parole del narratore: il rimorso di non aver, forse, saputo cogliere anzitempo i segni di una disperazione e di un bisogno di affetto abissali e inimmaginabili per chi non ha passato la vita a combattere contro i propri demoni. Come scrise Paul Verlaine, in Amour: "Mon pauvre enfant, ta voix dans le bois de Boulogne!"- così, Joséphine si riappropria della sua voce e della sua identità, che la morte e il passare del tempo non oblieranno mai.
Joséphine
«Ma non sono mai riuscito a capire fino in fondo perché ricadesse ogni volta in qualcosa che temeva e detestava tanto come l'eroina, a meno che, nel suo terror panico di essere abbandonata, o di non essere abbastanza amata, non avesse bisogno di verificare continuamente fin dove, in fondo a quale abisso, l'uomo che amava sarebbe venuto a riprenderla.» Joséphine è l'amante meravigliosa che il narratore ha perduto – morta di overdose a trentadue anni – nella notte tra il 25 e il 26 marzo 1993. A lei, un anno dopo, restituisce voce, gesti, smarrimenti, in una lettera postuma che l'asciuttezza e la laconicità del tono rendono commovente, scritta affinché «chi non l'ha mai conosciuta, chi non l'ha perduta», possa, leggendola, «innamorarsi perdutamente di lei». ll suo ritratto è consegnato in queste pagine all'affiorare dei ricordi, per trattenere ogni dettaglio e salvarlo dalla perdita irrimediabile della morte. Il narratore si limita a dire le loro gioie fugaci, i loro scherzi, i loro litigi, i loro viaggi, le loro notti gelide e luminose. E, anche, il rimorso per non aver saputo cogliere in tempo i segni di una disperazione e di un bisogno d'amore abissali. Un omaggio così pudico, così discreto che una volta chiuso il libro il lettore se ne va in punta di piedi, per paura di disturbare quei due che si amarono e che continuano a parlarsi tra le ombre.
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nicholas_levi 22 novembre 2023"Mon pauvre enfant, ta voix dans le bois de Boulogne!"
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