Karma

È facile – e un poco fuorviante – associare il nome e la figura di Pharoah Sanders (scomparso lo scorso 23 settembre) a quella del suo collega e mentore John Coltrane: Sanders dal 1965 fece parte dell’ensemble di Trane, aggiungendo voci diverse (non solo il suo sax tenore, ma anche il sax contralto, la musette cinese ed un complesso armamentario di percussioni) alle ultime incisioni in studio e performance dal vivo del grande maestro. Anche il fatto di avere inciso come leader per la stessa etichetta impulse! (“the house that Trane built”, per dirla con il biografo e storico Ashley Kahn) alimenta quello che, per molti versi, può essere considerato un equivoco. Perché Sanders, lasciato a sé, percorreva sì sentieri analoghi a quelli di Coltrane, ma con fini e risultati non poco dissimili. Il nostro era un profeta di quella tendenza, tipica degli anni ’60 e della quale di certo Coltrane fu un iniziatore, che voleva vedere il jazz come parte di una musica mondiale, quella che sarebbe stata in seguito etichettata come “world music”. In più, il processo creativo “orizzontale” (lunghi, lunghissimi brani tra l’ipnotico ed il magmatico) era un suo marchio di fabbrica, e Karma (1969) può esserne considerato un autentico manifesto: due soli brani, uno per facciata. Ed è il primo, “The Creator Has a Master Plan” ad essere passato alla storia, grazie alla straordinaria performance vocale di Leon Thomas. Gli altri e tanti musicisti che contribuiscono a questo capolavoro collettivo rispondono ai nomi di Julius Watkins (corno), James Spaulding (flauto), Lonnie Liston Smith (piano), Billy Hart, Freddie Waits (batteria) e un’impressionante triade di contrabbassi: Reginald Workman, Richard Davis e Ron Carter.