Un gioiello commemorativo di un incontro mai avvenuto tra due artisti muniti del dono della prospettiva mancante. Tanti i punti in comune tra i due colossi, uniti da un’incessante e rigorosa ricerca comune - parallela -, che li ha condotti ad allontanarsi dall’imperativo della verosimiglianza, dotando, così, il romanzo e l’opera filmica di una leggerezza ludica essenziale affinché il lettore/spettatore possa guardare ai personaggi come a degli esseri viventi e condividere con loro dubbi, domande e non certamente verità. Compito sempre più arduo in un mondo ormai retto da “agelasti”, coloro che non ridono mai, che sono privi del senso dell’umorismo, fondamentale per distinguere nettamente il confine esistente tra le cose importanti e quelle che importanti non sono. E quale sarebbe il più alto risultato dell’opera felliniana se non questo approdo, non del tutto compreso, lo stesso che seppe raggiungere ineguagliato Kafka, capace di aver realizzato ciò che i surrealisti teorizzavano senza realizzarlo, la fusione tra sogno e realtà (la continua ricerca dello spiazzamento). L’ironia, quindi, come chiave di lettura e ancor più di sopravvivenza: Kundera, in un lungo colloquio con Philip Roth, raccontò che nel buio periodo dello stalinismo riusciva a riconoscere le persone che non doveva temere dal modo in cui sorridevano. Da lì il terrore per un mondo che, sempre più, sta perdendo il senso dell’umorismo, dunque la sensibilità per l’arte, una sorta di epoca postartistica in cui scompare il bisogno di arte, schiacciato dall’ascesa inarrestabile dei luoghi comuni. C’è più da dire su un incontro non avvenuto che non su uno lungamente celebrato (come se noi tutti potessimo convivere senza “se”…), soprattutto per chi racchiude il nucleo fondante della propria dolcezza nella nostalgia.
