(Ferrara 1538 - Venezia 1612) poeta e letterato italiano. Discendente di Guarino Veronese, fece parte dell’Accademia degli Eterei di Padova; amico ma anche antagonista di T. Tasso come cortigiano degli Estensi a Ferrara, fu professore di retorica e abile diplomatico. Numerose rime petrarchesche, una commedia (L’idropica, 1584), un Discorso sulle cose di Polonia (1575) e altre opere in versi e in prosa non gli dettero la fama, che ottenne invece con Il pastor fido (scritto tra il 1580 e il 1583, pubblicato nel 1590): una «tragicommedia pastorale» intorno alla quale si sviluppò una polemica (pacatamente riassunta dallo stesso G. nel Compendio della poesia tragicomica, 1601) che contrapponeva i teorici aristotelici, avversi al nuovo genere, a quanti erano più aperti alle nuove sperimentazioni, e che si concluse solo nel Settecento. L’azione drammatica del Pastor fido si fonda sugli ostacoli che impediscono a Mirtillo e ad Amarilli, e parallelamente a Silvio e a Dorinda, di giungere alle sospirate nozze. Contrastati da Corisca (invaghita di Mirtillo) e da oracoli divini, gli amori dei giovani pastori si concludono felicemente dopo innumerevoli traversie. È chiaro l’intento dell’autore di emulare l’Aminta tassesca e addirittura di superarla con un uso più sapiente della sonorità musicale (attraverso l’alternanza dei metri, soprattutto endecasillabi e settenari), con un intreccio più ricco, con una presenza maggiore di allusioni e indugi sensuali, con momenti drammatici di effetto più spettacolare. Non vi si ritrovano, tuttavia, la novità geniale, la dolorosa freschezza d’ispirazione che erano nell’Aminta; e l’ingegnosa favola di G. rimane soprattutto come documento (in questo senso perfetto) dell’imminente stagione barocca.