Giovanni Vincenzo Gravina è stato un filosofo, giurista e letterato italiano. Dopo aver studiato lingue classiche, filosofia e giurisprudenza a Scalea e a Napoli, nel 1689 si trasferì a Roma, dove ottenne la cattedra di leggi civili e poi quella di diritto canonico. Personalità vigorosa e complessa, diede a tutti i suoi interventi una forte carica di anticonformismo. La sua fede nelle forze morali e fantastiche dell’uomo, la sua esigenza di un profondo rinnovamento della vita sociale, già presenti nel libello antigesuitico Hydra mystica, sive de corrupta morali doctrina (1691), informano le proposte di riforma pedagogica espresse nelle Orationes novem (lette nel 1712 e stampate nello stesso anno). Dalle medesime esigenze etico-civili muovono i principi dell’estetica graviniana, esposti nel Discorso sopra l’«Endimione» del Guidi (1692), in cui l’autore condanna le estetiche precettistiche, e nella Ragion poetica (1708), dove sottolinea la qualità fantastica dell’attività poetica e rivaluta la poesia di Dante, a quei tempi poco compresa. Il rifiuto del secentismo nasce in G. dal continuo confronto con la poesia del passato, da un bisogno di poesia «grande», verificata sui sentimenti profondi, sui grandi miti capaci di educare i popoli alla civiltà. G. si illuse, a un certo punto, di poter tradurre in un’istituzione pratica il proprio antisecentismo partecipando (1690) alla fondazione dell’Arcadia e dettandone le leggi. Ma il «buon gusto» e l’annacquato classicismo degli arcadi erano lontanissimi dagli intendimenti di G., che, disgustato, nel 1711 provocò una clamorosa scissione fondando con altri letterati una nuova accademia, più tardi (1714) denominata Accademia dei Quirini. Tra le sue opere d’argomento letterario si ricordano, oltre alle già citate: Delle antiche favole (1696), Opuscula (1696), Della divisione d’Arcadia (1712), De disciplina poëtarum (1712), le classicheggianti Tragedie cinque (Palamede, Andromeda, Servio Tullio, Appio Claudio, Papiniano, 1712) e Della tragedia (1715).