"Regista italiano. Interrompe gli studi universitari per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, dove allestisce vari cortometraggi e approfondisce la conoscenza di autori di rilievo come M. Antonioni. Mostra subito di essere interessato a un cinema che riesca a coniugare l’estetica visiva con la comunicazione di ideali, aspirazioni, rabbia, punti di vista personali sul mondo, affidando i suoi messaggi a un linguaggio concepito come momento di intervento culturale e politico. Il mondo di cui parla nel suo primo lungometraggio, I pugni in tasca (1965), presentato alla Mostra di Venezia come produzione indipendente, è quello giovanile in fase di pre-combustione sessantottesca; è la storia di un giovane, vittima di un’educazione oppressiva e di un ambiente asfissiante insopportabilmente borghese, che stermina la sua ammorbata famiglia e che da questa viene annientato. Per la gioia sfrenata e distruttiva dell’assunto e per la precoce maturità registica, il film imprime al suo autore il sigillo del talento al servizio dell’impegno, ma un simile incipit crea aspettative fin troppo alte per il prosieguo della sua carriera. Le opere successive, svuotate in parte della vitale rabbia compressa della prima, stingono alquanto su film a tesi, di volta in volta dedicati alla perversità delle istituzioni educative (Nel nome del padre, 1972), al cannibalismo dei massmedia (Sbatti il mostro in prima pagina, 1972), alla follia dei custodi rispetto ai custoditi (Matti da slegare - Nessuno o tutti, 1975) o alla luttuosità dello spirito militarista (Marcia trionfale, 1976). Più avanti con gli anni, torna come in pellegrinaggio sui suoi temi prediletti in Salto nel vuoto (1980) e Gli occhi, la bocca (1982), oppure divaga su rovelli pirandelliani riducendo Enrico IV (1984). Si sente poi in dovere di confrontarsi con gli anni di piombo in Diavolo in corpo (1986), denuda streghe in La visione del sabba (1988) e si smarrisce nella rarefazione piscanalitica con La condanna (1991) e Il sogno della farfalla (1994). I due film successivi – Il Principe di Homburg (1997), tratto da E. von Kleist, e La balia (1999), da L. Pirandello – mostrano una ripresa di vigore grazie anche alla matrice letteraria che egli rielabora governando bene stile, ambienti e recitazione. Nel 2002 presenta al Festival di Cannes L’ora di religione, suggestivo apologo su un artista laico colpito dalla notizia che il Vaticano intende fare santa sua madre, mentre nel 2003 porta in concorso a Venezia (dove vince, fra le polemiche, solo un premio per la sceneggiatura) Buongiorno, notte, rigorosa e toccante ricostruzione del caso Moro visto con lo sguardo di una giovane donna appartenente al commando delle br che organizzò il sequestro e l’omicidio dello statista democristiano. Il regista di matrimoni (2006) è una personalissima riflessione metacinematografica, sullo sfondo di una Sicilia trasfigurata dallo sguardo di un regista in crisi, interpretato da un magnetico S. Castellitto. (scm)"