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Aby Warburg è stato forse l’uomo che più ha influenzato, in questo secolo, la nostra visione della storia dell’arte. Attraverso i suoi studi egli ha indicato la via che consente di ritrovare nelle arti figurative la concrezione di una intera civiltà, con tutte le sue oscure tensioni psichiche. Ma lo stesso Warburg, mentre sviluppava la sua opera grandiosa, era periodicamente colpito da crisi nervose, che lo obbligavano a prolungati soggiorni in clinica. Nel 1923, al termine di uno di questi soggiorni, per dimostrare la propria guarigione, egli tenne ai pazienti e ai medici della casa di cura di Kreuzlingen un «discorso d’addio» – la celebre conferenza sul Rituale del serpente, apparsa poi nel 1939 sul «Journal» del Warburg Institute con una pudibonda nota che la diceva pronunciata per la prima volta «davanti a un pubblico non specialistico». Di fatto, quel discorso era insieme una confessione e un testamento. In poche pagine, prendendo spunto da una sua spedizione presso gli indiani Pueblo, Warburg risale alle origini del paganesimo e della magia. E illumina il potere stesso – innanzitutto psichico – delle immagini, il loro potere di ferire e di guarire, stabilendo così un circuito fulmineo fra il serpente dell’arcaico rito dei Pueblo e quello che Mosè invitava a innalzare nel deserto. Per comprendere un testo fondamentale come Il rituale del serpente occorre considerarne in ogni dettaglio la genesi e le allusioni: compito che qui assolve il prezioso saggio di Ulrich Raulff.
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un bel libro che dimostra il legame tra danza e tradizione, insieme al fatto che la danza ha origini talmente antiche da essere parte integrante della storia e della cultura sociale, anche della religione.
Sottolineare che “Il rituale del serpente” è un testo fondamentale dell’estetica novecentesca mi sembra perfettamente inutile: infatti questa conferenza di Aby Warburg,tenuta nel 1923 nella casa di cura di Kreuzlingen in cui lo studioso era ricoverato,gode di una fortuna che non accenna a diminuire. Queste pagine costituiscono infatti uno dei momenti salienti della vicenda biografica e intellettuale dello studioso,come sottolinea Gombrich:”Gli appunti e gli abbozzi per tale lavoro mostrano i suoi sforzi e il suo conflitto interiore. […] Sentiva che la sua malattia mentale gli aveva conferito una nuova capacità di scrutare questi stati primitivi e confidava che,descrivendoli,avrebbe ottenuto un distacco sufficiente per conquistare quell’equilibrio che aveva sempre considerato così precario”. E questa nuova capacità letteralmente trasuda dalle pagine:perché le descrizioni delle cerimonie degli indiani Pueblo,accompagnate dalle fotografie scattate dallo stesso Warburg nel corso del suo viaggio nell’ovest americano del 1895-96,possiedono un fascino incredibile,riescono davvero a proiettare il lettore in quel mondo lontano e ormai estinto. Warburg sostiene che gli indiani Pueblo si trovano in “un singolare stato di commistione e transizione”, tra l’uomo primitivo e l’europeo civilizzato,e aggiunge:”I Pueblo si trovano a metà strada tra magia e logos,e lo strumento con cui si orientano è il simbolo”;ecco quindi che si affaccia uno dei temi cardine del pensiero warburghiano:quello dell’Orientamento,tema in cui il simbolo gioca un ruolo fondamentale:”Tra il raccoglitore primordiale e l’uomo che pensa si trova l’uomo che istituisce connessioni simboliche. E le danze dei Pueblo sono un esempio di questo stadio simbolico del pensiero e del comportamento”. Il simbolo ha quindi il ruolo essenziale di fungere da anello di congiunzione tra l’uomo e il divino,in quanto mediatore inviato dal rito magico. Quello di Warburg è quindi un discorso che traccia il percorso evolutivo della religiosità umana,che passa dallo stadio primitivo dei Pueblo,in cui l’indiano,attraverso la danza, si sostituisce letteralmente alla divinità per entrare in comunione con essa (come avviene nella danza delle antilopi),a quello evoluto delle società progredite,in cui la comunione corporea col divino si spiritualizza e diventa atto puramente mentale. L’evoluzione delle religioni è colta da Warburg in un altro punto essenziale-altra spia della progressiva “razionalizzazione” del culto religioso- nel passaggio dalla cerimonia con sacrificio finale all’espulsione del momento sacrificale dalla pratica religiosa,una “redenzione dal sacrificio cruento [che] permea come un intimo ideale di purificazione la storia dell’evoluzione religiosa da oriente a occidente”:i riti dei Pueblo sono parte di questo passaggio,e dimostrano quanto i culti di quelle popolazioni siano partecipi di uno stato non più totalmente primordiale:il serpente,infatti,”non viene sacrificato, ma soltanto trasformato in messaggero attraverso la consacrazione e dietro l’influsso della danza mimetica” (è risaputo che Warburg al rituale del serpente vero e proprio non ha mai assistito). Ecco quindi che Warburg traccia il percorso del simbolo del serpente attraverso la mitologia classica e le grandi religione monoteiste,sottolineandone la polarità (altro grande tema warburghiano) di significato:dal serpente in quanto simbolo dell’estremo dolore umano nel Laooconte,al serpente attorcigliato sul bastone di Asclepio,simbolo di ottimismo e saggezza. Gombrich sostiene che “in una certa misura il finale della conferenza tradisce l’irruzione della sua malattia mentale”;io questo non so dirlo,ma credo che il finale sia una delle parti più belle dell’intero scritto,perché mostra la finezza intellettuale di Warburg,capace di risalire da un passato mitico fino alla contemporaneità della propria era tecnologica (e il coinvolgimento personale nei grandi temi del proprio tempo è una costante nella biografia dello studioso). Ulrich Rauff,nella postfazione,sostiene che “la conferenza di Kreuzlingen non ci offre solo una visione tragica del destino culturale dell’uomo,è essa stessa un testo tragico”;tale tragicità è evidente nelle battute finali,dove si manifestano pienamente i timori di Warburg:”il moderno Prometeo e il moderno Icaro,Franklin e i fratelli Wright,inventori dell’aeroplano:sono loro quei funesti distruttori del senso della distanza che minacciano di far ripiombare il mondo nel caos.”
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