Indice
Le prime pagine del libro
Ho molti nomi, ma nessuno è stato scelto da me.
Mi chiamano Ali, Aravani, Nau Number, Sixer, Mamu, Gandu, Napunsak, Kinnar, Koija. È un elenco interminabile, infinito come le promesse di un politico. In quasi tutte le lingue dell'India c'è un termine che mi definisce. Da una parte vengo insultata, dall'altra riverita: alcuni pensano che io sia una benedizione, altri che sia vittima di una maledizione, altri ancora che sia dotata di poteri divini. Molti genitori temono che possa rapire i loro figli, i negozianti mi considerano una sorta di amuleto e le coppie sposate un'esperta sul tema della fertilità.
Per i passeggeri del taxi, non sono che un fastidio, ed è per questo che mi scacciano come se fossi un corvo.
Tutti hanno una loro versione di quello che sono.
Il termine che mi dà più fastidio è quello con cui definiscono le persone come me in telegu: Thirunangai.
«Signor donna.»
Stranamente, il nome più giusto per me l'hanno trovato i miei genitori, che mi hanno chiamato Madhu. Un nome così gloriosamente adatto a entrambi i sessi, che l'ho portato con disinvoltura fino ai quattordici anni. Ma poi, con un colpo fatale, la cosa che avevo tra le gambe è stata liberata dai suoi doveri. Grazie allo stesso coltello che tengo in mano in questo momento, sono diventato un eunuco.
Forse i miei genitori avevano annusato qualcosa di strano alla mia nascita, il puzzo del dolore e dell'umiliazione che si sarebbero manifestati in seguito, o un brivido nelle ossa, una sorta di premonizione che loro figlio non era come gli altri.
Che era un'entità imprecisa, né deserto né foresta, né terra né cielo, né uomo né donna.
Con il problema dei nomi ho fatto pace anni fa.
Quello con cui mi trovo maggiormente a mio agio, che mi descrive con maggior precisione è hijra. In urdu significa "migrazione" e chi è come me lo ha adottato perché rappresenta bene quello che siamo.
È vero, sono una creatura migrante e vagabonda. Per quasi tre decenni ho fluttuato come un fantasma nel distretto a luci rosse della città. Ma il mio desiderio è che questa mia casa, questo giardino di reietti - quattordici strade che per il resto della città non esistono - si ricordino di me. Voglio che il mio ricordo rimanga, anche se il distretto si sta dissolvendo e io insieme a lui, come il vapore caldo che si leva dal chai.
Insomma, ma chi credo di imbrogliare? Io non ho niente in comune con il chai. Non ho un sapore piacevole. Non sono fatta per l'umiliazione. A quarant'anni tutto quello che possiedo sono un coltello che nascondo sotto i vestiti e una moneta da cinque rupie che mi ha dato mia madre.
E ora ascoltatemi bene: il mio nome diventerà famoso e si spalmerà come burro su queste strade desolate.