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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2017
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Il saggio di Flavio Caroli “Con gli occhi dei maestri” (Mondadori 2015) contribuisce a colmare un vuoto riguardo alla storiografia critica delle arti di cui a fatica, negli scaffali delle librerie, a stento si intravede qualche pubblicazione. La ragione, facilmente imputabile a una minor attenzione che l’argomento desta rispetto alle solite “propagande editoriali” dei grandi maestri dell’arte in grado di intercettare il grande pubblico, conferisce ancor di più valore a questo testo e a chi, naturalmente, ha avuto il coraggio di scriverlo. Oggi, a distanza di un anno dalla sua uscita, il libro è riproposto in un formato economico (Mondadori 2017), al fine sia di agevolare la scorrevolezza della lettura sia per diffondere l’importanza della storiografia (innumerevoli ricostruzioni della storia dell’arte approdano ogni giorno nelle scuole e nelle università). L’autore, scegliendo sei figure della critica d’arte del Novecento con le quali è entrato personalmente in contatto, ha fornito degli exempla di “metodo critico” attraverso una narrazione anedottica suggestiva e stimolante sia per il lettore generico sia per lo studioso. La personalità più carismatica è senza ombra di dubbio quella del primo storico dell’arte considerato, Roberto Longhi (1890-1970) il cui incontro è definito così dal giovane Caroli “il radar di Longhi mi aveva intercettato” per spiegare la capacità fulminea del grande studioso di capire chi aveva difronte. Le definizioni di Caroli a proposito di Longhi sono una più illuminante dell’altra: “museale e avanguardista” perché pur avendo avuto il merito di scoprire Caravaggio comprese, nello stesso tempo, “l’innovazione plastica del Futurismo”; una delle “scritture più virtuose del secolo” in riferimento alla qualità di uno stile letterario non dissociato da una straordinaria intuizione critica. Sul piano personale, Caroli non dimenticherà mai il parere di Longhi riguardo allo studio su Pollok e Lotto che egli stesso stava compiendo: “continui, si rafforzano a vicenda”, una visione sintetica così efficace da far decidere a Caroli di laurearsi in storia dell’arte, come accadde del resto –ricorda l’autore – anche ad altri illustri compagni di corso come Pier Paolo Pasolini e Giorgio Bassani. Il secondo esempio di critica d’arte è rappresentato da Alberto Graziani (1916-1943), morto al fronte durante la seconda guerra mondiale, a cui seguirà quella del figlio Sandro, studente promettente di storia dell’arte, che sceglierà una tragica fine dopo aver deciso di seguire le orme paterne. Grande seguace di Longhi, definito da Caroli “l’allievo più lungimirante dei ragazzi di via Zamboni” conquisterà il maestro rivelandogli di voler fondare il “fronte longhiano”. Da queste posizioni emerge, ancora una volta, il carisma e la portata rivoluzionaria dello scopritore di Caravaggio. Tra i meriti, ascrivibili a Graziani, Caroli ricorda lo studio sull’artista Bartolomeo Cesi, nell’ambito di un contesto post-carraccesco, e di averlo liberato da una cultura bigotta e restituito al “cuore profondo, archetipico del cattolicesimo italiano”. Giungendo al terzo storico dell’arte considerato, Francesco Arcangeli (1915-1974), Caroli esprime tutta la sua massima stima ricordando il momento in cui fu informato della scomparsa dello studioso “di maestri, di stramaledetti padri non ne avrei avuti mai più”. Ancora una volta, Longhi è chiamato in causa per illuminare la personalità di un altro grande allievo: il maestro riteneva che l’arte nasce dall’arte mentre il giovane Arcangeli era convinto che l’arte nascesse dalla vita e, su questo punto, Caroli afferma “l’allievo bolognese non aveva ceduto di un millimetro”. Le informazioni dell’autore, a proposito di Arcangeli, di cui è stato allievo, sono senz’altro indicative della conoscenza approfondita e maturata in anni di sodalizio intellettuale. Definendo il maestro Arcangeli con tre aggettivi, romantico, naturalista ed espressionista, ci fornisce un’istantanea sulle sue istanze critiche, come quando scrive che “per Arcangeli il Romanticismo era il senso dell’illimite e non la melassa sentimentalistica diffusa da un certo Ottocento”. Le rivelazioni, una più curiosa e interessante dell’altra, non mancano. Rimembrando la diaspora tra Arcangeli e il pittore Morandi a proposito della monografia da scrivere, Caroli ci rivela che il maestro gli confidò “aveva capito che gli scoprivo le carte”. Segue Giuliano Briganti (1918-1992) caratterizzato da una personalità complessa, dotato di “un’apparente linearità necessaria per un grande e benigno controllo dell’oscurità”. L’incontro di Caroli con il maestro, avvenuto nella sua sterminata biblioteca, rimarrà fermo nella memoria e di stimolo per una raccolta vorace di libri. Pur ammettendo le difficili posizioni critiche assunte dallo studioso, Caroli gli riconosce il merito notevole di aver fatto comprendere fenomeni artistici come il Barocco alla luce dell’informale e i visionari romantici alla luce degli studi freudiani. Un’altra personalità, di straordinario fascino, è Ernst Gombrich (1909-2001) con cui Caroli condivideva, già allora, il desiderio di fuoriuscire dal clima specialistico degli storici dell’arte italiani di cui Arcangeli era evidentemente un’eccezione. Grande conoscitore del metodo di Aby Warburg – un metodo che svelò a Caroli cosa si cela dietro le immagini – Gombrich fu un viennese trapiantato in Inghilterra, nella cui casa londinese, come l’autore ebbe modo di constatare con stupore, non era appeso neanche un quadro. Infine, il sesto studioso, Carlo Ludovico Ragghianti (1910-1987), è inserito nel saggio pur non essendo mai avvenuto un incontro, per quanto prefissato, con l’autore. Lontano da posizioni marxiste e da un’estetica del lavoro negata da Marx stesso, Caroli pone l’attenzione sul rapporto arte-società indagata dallo studioso il quale “credeva nel linguaggio autentico degli artisti, vero fulcro di una scienza giovane di cui si occupano gli storici dell’arte”. Gabriele Guglielmino (docente e storico dell’arte)
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