Quando Hofmannsthal, nel 1922, pubblicò la prima edizione di questo libro, forse ricordava le parole con cui Goethe aveva annunciato quella sua opera che dapprima voleva intitolare Libro degli amici e poi divenne il Divano occidentale-orientale: «Il Libro degli amici contiene serene parole di amore e simpatia che in certe circostanze vengono offerte a persone amate e stimate, solitamente al modo persiano con i margini arabescati doro». Il primo carattere di questo libro è dunque quello del dono rivolto a persone affini, e in quanto tale viene qui presentato come numero 100 della Biblioteca Adelphi.
Ma, oltre che rivolto agli amici, questo libro è stato anche in certo modo scritto da amici. Mescolando suoi pensieri e riflessioni a quelli di autori celebri e antichi o anche assai meno noti e contemporanei, Hofmannsthal è riuscito a creare un singolare slittamento: prima ancora che se stessi, quei nomi indicano le voci che partecipano a una inesauribile conversazione. E anche dietro alla voce dellautore sembrano celarsi quelle di molti altri, che grazie a lui parlano in incognito. Col gesto di un sovrano discreto e pressoché invisibile, Hofmannsthal si preoccupa qui di fissare uno spazio più che di riempirlo: prepara ai pensieri un paradiso, nel senso iranico di «giardino cintato». Così le riflessioni che allinea non hanno mai la solennità e lautosufficienza delle massime, ma si intessono luna allaltra come una molteplicità di voci che si rispondono. E il tutto assume unautorità più inafferrabile, che accetta di abbandonarsi alla fuggevolezza della parola detta e perduta. Molti di questi frammenti sono tratti da memorie, lettere, diari e più che a un comune modo di pensare sembrano riferirsi a una qualche esperienza di vita che i vari parlanti, il cui volto è spesso in ombra, avrebbero in comune. Non sarà Hofmannsthal, nemico dellesplicito, a precisare che cosa tiene insieme queste voci: ma sarà ogni lettore attento ad accorgersi che lo spazio disegnato da questo libro è quello stesso di una cultura occidentale che fosse arrivata a insegnare a se stessa, in senso metafisico, le buone maniere. Delle quali sarebbe il primo precetto, in rapporto ai pensieri, quello che qui viene accennato: «La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie».
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