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Stefan Zweig è stato uno scrittore estremamente prolifico e ha esplorato diversi generi e stili, spaziando dai racconti alle biografie, dalla poesia al teatro, e dedicandosi anche alla saggistica e ai memoir. Nonostante la vastità della produzione di Zweig, le opere più conosciute e apprezzate sono i racconti, ma forse non tutti sanno che l’autore mitteleuropeo per eccellenza ha scritto anche tre romanzi (a mio avviso imperdibili), due dei quali sono rimasti inconclusi, e “L’impazienza del cuore” è l’unico compiuto. Il protagonista è Anton Hofmiller, tenente dell’impero austro-ungarico distaccato in una sperduta cittadina nella campagna ungherese, lì il giovane ufficiale conduce una vita monotona e un po’ noiosa, fino al giorno in cui riceve l’inaspettato invito al castello del ricchissimo e chiacchierato Lajos Kekesfalva. Al ricevimento Anton conosce Edith, figlia dell’aristocratico, la quale a causa di un’oscura malattia ha perso l’uso delle gambe, precipitando nella disperazione e lottando per trovare una cura che però tarda ad arrivare. Il giovane tenente rimane fortemente impressionato dalle sofferenze della giovane e sviluppa verso di lei affetto e compassione, emozioni che lo portano a diventare assiduo frequentatore della casa nella speranza di rallegrare le giornate dell’infelice ammalata. La buona azione di Anton dettata dalla compassione avrà affetti estremamente nefasti e in un crescendo di fraintendimenti, ricatti emotivi e buone intenzioni con pessimi risultati, il giovane si troverà intrappolato dalla propria stessa compassione e debolezza, messo all’angolo dovrà scegliere se sacrificare sé stesso o la felicità di Edith. Con questo romanzo Zweig vuole mettere in guardia il lettore dai seri danni che una compassione smodata, soprattutto se nata dal senso di colpa e non dal genuino desiderio di fare del bene, può arrecare seppur inavvertitamente ma in modo fatale. L’autore descrive così questo nobile ma pericoloso sentimento.
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