Indice
Le prime frasi del romanzo:
Un branco di predatori intorno alla vittima. È un'utilitaria con a bordo una vivace donna. La batteria l'ha mollata e taxi, automobili varie, pulmini, furgoni e motociclette cercano di avanzare ostacolandosi a vicenda, mentre la coprono di invettive, un ingorgo che si autoalimenta. E muoviti. Maledetta scema. Idikazana lomlungo, le! Lei alza le mani, i palmi aperti, in segno di resa. Gli altri continuano a strombazzare la propria impazienza. La ragazza scende dalla macchina, li affronta. Uno dei disoccupati di colore che segnalano agli automobilisti i parcheggi liberi in cambio di un'elemosina si avvicina sgusciando tra i paraurti, le fa cenno con la testa, "Oka-ay, Oka-ay salga in macchina, avanti!", e mima i movimenti delle mani sul volante. Ne appare un altro, e insieme la spingono in una piazzola di carico merci. Intanto riprende la circolazione. I due restano a osservare la strada mentre la ragazza armeggia in cerca del portafoglio. Il boss della strada dà una rapida occhiata ai soldi che gli ha messo in mano, la cifra è più che adeguata. La ragazza non sa proprio come ringraziarli ecc. ecc. L'uomo sembra quasi contorcersi per infilare i soldi in un paio di pantaloni tagliati per qualcun altro e sorride, già occupato ad avvisare la prossima vettura a caccia di parcheggio. Una donna con un asciugamano a mo' di scialle che troneggia su una cassetta della frutta davanti al suo assortimento di pettini, lamette, pietre pomici, berretti di lana e polverine contro il mal di testa gli grida che dev'essere in giro in una lingua che la ragazza non capisce.
Ecco: avete visto. Ho visto. Quel gesto. Una donna in uno dei tanti ingorghi che sono all'ordine del giorno in città, in qualsiasi città. Non ricorderete l'episodio, né saprete chi è la ragazza.
Io sì, invece, perché a partire da quell'immagine scoprirò - nella forma del racconto - le conseguenze di quella banale disavventura della strada; dove l'avrebbero portata, e come. Le sue mani alzate, aperte.
La ragazza sta percorrendo una strada molto trafficata, un bazar di tutto quello che le leggi e le tradizioni della generazione dei suoi genitori avevano impedito alla città di essere. Sono sempre stati i giovani, incauti e selettivamente tolleranti, a smantellare nei bar e nei caffè le inibizioni del passato. Era diretta nel posto in cui di solito incontrava gli amici e gli amici degli amici, chiunque si facesse vivo. Il L.A. Café. Forse la maggior parte della gente che affollava la strada non sapeva che quelle maiuscole erano le iniziali di Los Angeles; immaginava che fossero la versione abbreviata del nome del titolare, così come l'antiquariato negozio greco all'angolo si chiamava Stavros o Kimon. EL-AY. Chiunque fosse, il proprietario era convinto che quel nome suggerisse agli habitué uno stile di vita vagheggiato, e questi lo associassero al proprio; probabilmente confondevano Los Angeles con San Francisco. Il nome del caffè era una dichiarazione. Un locale per giovani; ma anche un posto dove i vecchi superstiti del quartiere, attempati hippy ed ebrei di sinistra, nonni e nonne dell'immigrazione degli anni venti che non erano diventati ricchi borghesi, potessero sedersi da soli davanti a un caffè. Fuori, in strada, qualche ex contadino impazzito per aver abbandonato la campagna farfugliava e chiedeva l'elemosina. Dal banchetto di un barbiere ambulante il vento riportava il feltro umano di capelli africani sulla terrazza. Prostitute del Congo e del Senegal ai tavolini con la baldanza di reginette di bellezza.
"Ciao, Julie". Mani che la chiamavano, come sempre. Quelli che l'avevano salutata videro un collo e un viso graziosi, di un pallore naturale, arrossato dall'emozione. Bianchi e neri preoccupati per lei. "Ehi, Julie, rilassati, che hai?" C'erano un paio di amici dei tempi dell'università, un giornalista disoccupato che badava alle case abitandovi durante l'assenza dei proprietari, una coppia che dipingeva striscioni per manifestazioni e concerti pop. Ci fu un moto di indignazione: Che merda di città.
"Pensano solo ad arrivare a destinazione..."
Dove mai credono di andare... quest'ultimo commento fu pronunciato dall'accordato, un tipo con una lucida pelata e una buffa chioma di riccioli grigi che ricadevano da dietro le orecchie; era ancora inedito, ma fin dall'infanzia la madre l'aveva dichiarato poeta e filosofo.
"Non c'è niente che ecciti un maschio bianco più della possibilità di umiliare una donna al volante."
"Uno stimolante sessuale per cafoni."
"Un altro ha gridato qualcosa... tipo Idikaza... mlungu... Che significa, 'stronza bianca'? Lo domandò all'amico di colore.
"Be', il senso era più o meno quello. Che schifo di città!"
"Ovviamente, ad aiutarmi sono stati dei neri."
"E dai, volevano l'elemosina!"