Novocaina. Una storia d'amore e di autocombustione

Tutto comincia con un'altra figura irruenta. Passi presenti che masticano l'asfalto acquitrinoso di questa notte romana. Adriano sapeva già di dover correre quando è uscito di casa, così ha indossato le sue Reebok da battaglia e gli indumenti che più sarebbero adattati ai movimenti convulsi di una fuga. L'incanto spezzato della città ottocentesca si scontra brutalmente con la latitanza estetica della periferia, con il grigiore che si specchia nella circonvallazione anemica e nel logorio ferroso dei binari della ferrovia. Corre Adriano, con passo allenato, con le movenze di chi ha già provato certe sensazioni e ciononostante non fa a meno della frenesia di un balzo e di uno sguardo furtivo. Le luci invadenti che giungono dalla tangenziale vanno via via sbiadendosi nelle ombre degli alberi, nelle foglie amiche che accompagnano via Salento giù fin sotto la chiesa, a sostenere il ritmo di una corsa che ora si infila nei giardini della piazza. Con uno sguardo accarezza il sonno di un senzatetto, salta una panchina per pura adrenalina e si accosta ad un cespuglio ingombrante. Un passo indietro per riprendere fiato, asciugarsi la fronte, sfilarsi i guanti sporchi di rosso e gettarli in un cestino già carico di rifiuti, poi gira alla rovescia il giacchetto e indossa uno zuccotto colorato di un curioso arancio e celeste, quasi invadenti nel buio aggressivo di queste prime ore del mattino. La borsa con i ferri del mestiere già era volata oltre il muro, con tutto il suo carico di gas, vita e colori che ora riposano nel cantiere di quei nuovi box, alle spalle di altri cartelli "Vendesi" che già farciscono la strada.