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Si sa che l’ultima guerra, e in particolare la Resistenza, hanno per lo più dato origine in Italia a storie di ‘uomini e no’, inclini a un’aspra sentenziosità. Nulla di meno congeniale a Landolfi, il quale scrisse febbrilmente la sua storia di guerra (questo Racconto d’autunno) nel 1946, ma giocando su tutt’altra tastiera. Qui un indefinito e sanguinoso conflitto fa da quinta a una vicenda di amore e morte che non sdegna nessuno degli attrezzi scenici del romanzo nero, dal ritratto ominoso agli animali demoniaci. E, al centro troviamo una ‘dark lady’ innocente e perversa, evocata per via necromantica, che ci appare una vera concrezione dell’eros landolfiano. Mai come in questo libro Landolfi si è abbandonato al puro romanzesco, senza turbare e frantumare la narrazione, anzi lasciandola fluire in una corrente rapinosa e ingannevole. Eppure, la perfetta adesione ai canoni del racconto fantastico adombra in questo caso l’insanabile ferita inflitta all’autore degli eventi. La guerra aveva infatti profanato il ‘covo di memorie’, il ‘Ricettacolo dei sogni’ di Landolfi: la nobile dimora di Pico, che aveva assistito alla stesura di tutte le opere della sua prima stagione ed era per lui una sorta di guscio protettivo. È questo il luogo tenebroso del Racconto d’autunno, trasformato dalle erbe selvatiche in un «gran tumulo verde», mentre attorno alla fantomatica figura femminile si addensa un «giallo leggermente abbrunato, come un bagno di funebre oro».
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Sembra che Racconto d’autunno sia l’opera più riuscita e più nota, soprattutto all’estero, di Tommaso Landolfi, narratore laziale di certo fra i non più conosciuti, anche per una sua naturale ritrosia a essere parte di correnti letterarie, nelle quali in verità sarebbe peraltro difficile trovare una sua collocazione. L’aspetto saliente delle sue opere, e ovviamente anche di questa, è lo stile ricercato che non è un corollario, ma uno degli scopi, e senz’altro il principale, di ogni suo scritto. Anche un lettore non particolarmente attento potrà notare la ricercatezza del linguaggio, l’uso, mai inappropriato, di termini non frequenti, ma soprattutto un’impostazione che privilegia la descrizione di ambienti e di atmosfere con una precisione mai eccessiva e che anzi affascina, con proiezioni oniriche e con la capacità di ricreare una tensione che accompagna perfettamente angoscia e curiosità. Inserito in un periodo storico che, senza nominarla, ricorda quello della Resistenza, Racconto d’autunno è un’opera per certi versi visionaria, densa di metafore che un po’ ricalcano aspetti della vita dell’autore, ma che anche sono propri di ogni essere umano, per il quale la propria esistenza è già un mistero. Il castello in cui si imbatte il protagonista, un edificio ormai cadente alla cui scoperta dedica pressochè per intero il suo soggiorno, è una lunga sequenza di camere, di scale, di porte, di sotterranei, un labirinto da percorrere senza mai venirne effettivamente a capo. Cosa nasconde? Quale segreto si cela? Con pochi personaggi (il vecchio nobile, due cani, la giovane figlia che tanto assomiglia alla madre morta la cui immagine è impressa in un dipinto) il protagonista si muove in un’atmosfera gotica, in cui predomina il buio, é timoroso, ma curioso di conoscere, ossessionato da irreali presenze, di cui una scaturita da un esperimento di negromanzia. Il romanzo si sviluppa in 141 pagine in cui amore e morte si fondono mirabilmente dando vita a un’opera che attrae e respinge, attrae perché avvince nelle aspettative (che non verranno deluse) e respinge perché se il mondo descritto può sembrare del tutto estraneo al nostro è in effetti una sua immagine speculare, è quella parte che in noi è timore e sgomento, è consapevolezza dei nostri limiti e tentativo di superarli, è quel pensiero mai sopito della morte, è il flusso di domande senza risposte sul perché esistiamo. Leggere Racconto d’autunno rappresenta pertanto un’esperienza e richiede la massima disponibilità a lasciarsi rapire dalla descrizione di un mondo che ha anche risvolti surreali, ma che pagina dopo pagina riconosciamo come nostro, dove ogni elemento ha un suo ben preciso scopo e anche noi siamo parte di quello scopo.
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