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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2018
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Ma dove sono stata io? A cosa pensavo in questi 8 anni (il romanzo è del 2008!), ignara dell'esistenza di un romanzo così intenso, doloroso e scritto magnificamente? La Parrella entra di diritto, dopo questa lettura, nell'olimpo delle scrittrici che mi graffiano l'anima... Lo "spazio bianco"...è quel luogo sospeso, fuori dal mondo, fuori dal tempo, dove una donna aspetta di sapere cosa ne sarà di lei, del suo amore per quella piccola vita che le è uscita fuori presto, troppo presto...e non sa ancora quale direzione prendere. Sei mesi sono troppo pochi per venire al mondo. E 42 anni sono troppi per avere la pazienza di aspettare...da sola. Essere madre, ma non sentirsi tale...o magari percepirsi tale, ma con il terrore che questa condizione possa essere solo transitoria, così breve da sembrare illusoria. "Il fatto è che mia figlia Irene stava morendo, o stava nascendo, non ho capito bene". Lo "spazio bianco" è un tempo fermo, scandito solo dai "bip" dei monitor, dai segni blu che gli oblò dell'incubatrice lasciano sugli avambracci per il loro stesso peso, un tempo misurato dalla lunghezza di una manina minuscola che si aggrappa alla più piccola delle falangi di una mano. Il dolore è raccontato in sordina, privo di sensazionalismo, come se la scrittrice avesse messo una lastra di vetro tra noi e quella sofferenza, già...proprio come il vetro di un'incubatrice, per evitare, forse, di farci toccare con mano un dolore fragilissimo e precipitare dentro il burrone di un'attesa che lacera. Ma a me, quella lastra di vetro, non ha protetto granché...ci sono finita dentro quel burrone...e non perché io abbia vissuto un'esperienza simile e mi sia identificata, no, ma perché l'autrice è riuscita a farmi leggere anche il non scritto, il taciuto. Chapeau. "Non avevo mai conosciuto la sua presenza e ora mi toccava un'assenza che non sapevo riconoscere". L'immobilità della vita nel reparto di terapia intensiva neonatale è in netto contrasto con la vita vera, al di fuori di quelle mura, in una Napoli piena di contraddizioni, in una scuola serale per extracomunitari e non, dove Maria, la protagonista, insegna italiano. Uomini e donne alla ricerca di un riscatto personale nei confronti di una vita che ha scelto per loro. Un arcobaleno di varia umanità. Sul grande schermo Maria non poteva che essere interpretata (e molto bene) da una Margherita Buy in gran forma, capace di donarle tutte le sfumature che il suo personaggio si porta dietro: la lucidità, la forza...ma anche la fragilità, l'ansia e le nevrosi di chi ha anche paura di sperare. La Comencini dietro la macchina da presa ha, secondo me, rievocato molto bene le atmosfere del libro.
Delicata storia di una quarantenne, che forse non è pronta a fare la mamma, e una bambina nata prematura, che non è pronta a diventare figlia. Insieme impareranno a conoscersi, a volersi bene e a crescere. Ottima storia!
Maria è un’insegnante di una scuola serale di Napoli. La sua vita è stata un po’ ribelle, così come ribelle è il racconto che fa in tutto il libro, anche se è una ribellione controllata. Non è più giovanissima, non ha una famiglia, i suoi genitori sono morti, vive da sola, con la fissa per il cinema dove si precipita ogni pomeriggio, e un unico vero amico: Fabrizio che con lei condivide le gioie e i dolori di una professione di insegnanti precari fatta ancora con la fiducia che qualche cosa possa cambiare, per questo che, insieme, vanno ai corsi la mattina o i fine settimana a loro spese. Ma Maria a un tratto si innamora e perdendosi in questo momento si ritrova ad aspettare una figlia, è sola però, perché il suo compagno non accetta una nuova responsabilità e si allontana. La bimba, come lei, ha fretta di nascere. Prematura. Da qui inizia tutta l’angoscia, l’ansia, l’attesa che Maria non è in grado di sostenere. Lascia la scuola per dedicarle i quaranta giorni di attesa, dove, per Irene, questo è il nome che è scritto nella nuvoletta attaccata all’incubatrice, ci sarà la possibilità di vivere o morire. E in questi giorni si aprono intorno a Maria diversi mondi, quelli delle altre mamme che, come lei, sono in attesa che qualche cosa accada. Un qualche cosa che nemmeno i medici sono in grado di presagire, attendono e alle domande delle madri non sanno che cosa rispondere. “- Fate voi. - La bambina nascerà sicuramente viva, ma potrebbe morire subito, o sopravvivere con gravi handicap, oppure stare bene, lei lo sa? - Io lo so. - Lei lo sa, signora? - Io avrei dovuto partorire tra tre mesi. - La bambina sarà portata subito in terapia intensiva neonatale.” Sarà un periodo di angoscia, di non decisione, di incapacità di attendere quello che succederà perché Maria è sempre stata abituata ad agire, si sente inerme lì in quell’attesa senza sicurezza. Ma a un tratto qualche cosa scatta, ritorna in tempo per assistere i suoi studenti serali all’esame per il diploma, ma è proprio lì che, Gaetano, uno dei suoi studenti lavoratori preferiti, la fa meditare. “ – Ho un problema. Mi sono bloccato - che cosa vuoi dire? - Vorrei andare avanti. - Mettici un futuro. - No, voglio metterci il presente. - E scrivi al presente. - Però vengo già da un presente che è finito mo. ... Io devo scrivere altre due pagine, al presente, che è un presente nuovo. - Ho capito. ... Mettici uno spazio bianco e ricomincia a scrivere quello che vuoi. - Ma si può fare?” “Non me lo chiesi perché era necessario. - Sì, lascia un rigo in bianco e ricomincia sotto. - Non è che poi pensano che mi sono dimenticato qualcosa? - - No-o”. Ecco quello che avrebbe fatto anche lei, con Irene, con la vita passata, con le paure, le insicurezze: uno spazio bianco per ricominciare non a sperare ma a vivere, nel presente. Un presente nuovo.
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