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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2011
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Volendo escludere ogni tratto di sentimentalismo che potrebbe scaturire nel leggere un testo ambientato nel primo ventennio del 1900, Otel Bruni non è un romanzo eccelso. Innanzitutto non è un romanzo articolato, la trama è lineare e semplice, fatta di aneddoti che si susseguono nelle vite dei membri della famiglia Bruni, famiglia contadina della bassa emilia, personaggi semplici e ben poco caratterizzati. Lo stile della scrittura è lineare, privo di fronzoli, talvolta arricchito da epsressioni dialettali, subito riportate anche in italiano, che tentano di immergere il lettore nella realtà dialettale dell'epoca, quasi a voler sopperire alla carenza di descrizioni e di ambientazione. Nel complesso, non ritengo che possa essere un romanzo che coinvolga il lettore in maniera accesa più dell'insulso ciarlare di un gruppo di donne dal parrucchiere. Per quanto possa interessare, mi ritengo un acceso appassionato estimatore del prof. Manfredi, del quale ho letto e apprezzato tutti i romanzi. Probabilmente proprio per l'elevata stima che provo per l'autore mi ritengo deluso da questo romanzo che, a tutti gli effetti, rappresenta una macchia nel suo encomiabile curriculum.
E' una storia di una famiglia semplice, intrecciata alla Storia. I nomi delle strade, dei Paesi e dei luoghi della Bassa emiliana, sono esattamente come quelli della mia infanzia, e del mio quotidiano. Ancora oggi fioriscono campi tra Bologna e i paesi della provincia, quasi a voler mostrare che in fondo, non è fantasia. Sono persone come avrebbero potuto essere i miei bisnonni stessi, ed è nella loro semplicità, genuinità, che, volenti o meno, verranno catapultati in quella Storia che, sì, sta scritta sui libri, ma che ha ben poco di umano dietro quelle date ormai imparate a memoria, senza averne la percezione. E sono quei volti che Manfredi ha così ben descritto, quelle mani troppo abituate al lavoro manuale da non esser abili a usare un fucile, a rappresentare quel sapore di terra battuta e coltivata, a delineare per noi il susseguirsi delle due Grandi Guerre, e delle tragedie da esse derivate.
L’idea, non nuova, è interessante: parlare della nostra storia della prima metà del XX secolo attraverso le vicende di una famiglia contadina, i Bruni. Congiuntamente a questa intenzione, l’autore si proponeva, probabilmente, anche di dar vita a una saga familiare, evidenziando un mondo rurale ormai scomparso, una civiltà, insomma, quella contadina che con gli anni del boom economico è venuta meno. Dico subito che all’inizio l’opera mi ha avvinto non poco, nonostante le non poche lacune; del resto queste storie mi hanno sempre interessato, forse memore dei racconti dei nonni le cui origini erano contadine. Dagli inizi del del secolo scorso fino all’incirca alla sua metà si può così leggere delle vicende dei Bruni, in origine coltivatori a mezzadria di un appezzamento di terreno, una bella famiglia patriarcale con padre, madre e, circostanza frequente all’epoca, un bel po’ di figli. Se l’ambiente è reso bene, tuttavia si può notare già dalle prime pagine come sia approssimativa la caratterizzazione dei personaggi, circostanza che si accentua mano mano che passano gli anni con il naturale aumento dei protagonisti, poiché i figli e le figlie si sposano, e a loro volta hanno altri figli; questo, proprio per la carenza di caratterizzazione, fa sì che si possa ingenerare un po’ di confusione. Inoltre, l’autore sembra tendere a privilegiare più le vicende che gli indispensabili contorni ed è così che si sofferma a lungo sull’esperienza della prima guerra mondiale, peraltro resa bene, anche se, per uno storico come lui, è sorprendente il madornale errore che ha commesso quando scrive che alla morte dell’imperatore Francesco Giuseppe gli succede il figlio Carlo, ma quest’ultimo è tutt’altro, è un pronipote, e neanche in linea retta, ma collaterale visto che lo scomparso monarca era un suo prozio. Comunque, fino agli anni della guerra d’Etiopia il libro scorre bene e la lettura è anche piacevole, benchè Manfredi non vada a fondo negli eventi che contano, come il sorgere del fascismo. Più o meno dal 1936 la macchina narrativa comincia a perdere colpi, a incepparsi e si arriva in un attimo alla seconda guerra mondiale, di cui si parla poco, tranne quando, dopo l’8 settembre del 1943, inizia la Resistenza, anche questa trattata abbastanza superficialmente, peraltro con un tono da leggenda. Inoltre, é netta l’impressione che l’autore sia stanco e abbia fretta di finire il suo lavoro, o che comunque abbia perso il filo conduttore, visto che certi personaggi, a cui si era dato risalto, scompaiono senza che si sappia più nulla di loro, mentre ne entrano altri come se questi ci fossero noti e invece ci sono perfettamente sconosciuti, perché Manfredi non ne ha mai parlato prima. Anche il declino della civiltà contadina é appena abbozzato, tanto che viene da chiedersi perché sia poi finita, il tutto in presenza di una costante approssimazione che è lecito trovare nel caso di un autore alle prime armi, ma che non mi sarei mai aspettato da un narratore di lungo corso. Per farla breve, ho iniziato il romanzo colmo di entusiasmo, entusiasmo che è andato scemando per essere sostituito da una perniciosa noia, tanto più che, mano a mano che mi avvicinavo alle ultime pagine, cresceva in me l’impressione di trovarmi di fronte a una telenovela. Le intenzioni dell’autore erano senz’altro buone, ma la realizzazione, purtroppo, è risultata inadeguata. Il libro comunque si può leggere, ma solo se si sorvola sulle molte lacune.
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