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La storia si evince dal racconto dei protagonisti. Incredibile come Faulkner ricrei la narrazione di un ragazzo con ritardi mentali. Originale, acuto, precursore.
Sebbene possa risultare un libro ostico, io lo considero una piccola perla. Il libro è diviso in quattro capitoli, e i primi tre non sono altro che il punto di vista ambiguo e confusionario di tre fratelli dai quali si può dedurre senza mai comprendere appieno, almeno fino all'ultimo capitolo, il dramma vissuto dalla loro famiglia. Questo perchè la tecnica narrativa si rifà al flusso di coscienza e le situazioni descritte sono come degli scatti instantanei che non seguono un arco temporale lineare. Tuttavia proprio quest'ambiguità del racconto convinse Faulkner ad inserire successivamente nell'appendice del libro un resoconto di come si sono svolti precisamente i fatti.
Dovrò essere schietto: non l'ho apprezzato. Stile forzatamente ed esageratamente confusionario, una trama che si lascia solo intuire e per il resto il romanzo è composto per 300 pagine solo di dialoghi noiosi. Mi ero approcciato a Faulkner con l'entusiasmo e l'ossequio di chi si approccia a uno scrittore decantato come tra i migliori del 900 e lo stesso Nobel lo sancisce. Eppure sono rimasto deluso. Perché non si tratta banalmente di un libro difficile da leggere, come potrebbe essere per il grado intellettuale un libro di Eco o per la sontuosa impalcatura la Recherche proustiana: L'urlo e il furore è semplicemente un groviglio scuro di confusione (lo stesso Bertolucci, nella post-fazione, parla di confusione). Penso che certamente una storia torbida come quella dei Compson necessitava assolutamente di uno stile altrettanto torbido, e le stesse tecniche adottate come l'alternarsi dei corsivi per i pensieri e i deliri di Quentin oppure il flusso di coscienza, non sono essi il problema di una mancanza di comprensione dell'opera - anzi, sono interessanti e a tratti geniali. Ma a queste scelte tecniche, allo stile torbido, era necessario affiancare elementi di luce, di concretezza, di chiarezza. In assenza di essi, lo scrittore abbandona il lettore in un labirinto di rovi. La sensazione che il lettore di conseguenza ha è la delusione amara di essere stato ingannato dall'autore, che l'autore non abbia avuto alcuna pietà per lui e che forse se ne sta lì a sogghignare, beandosi dei rovi con cui ha forgiato il romanzo. Terminato di leggere, la sensazione che provavo era rammarico: per tutto il romanzo ho continuato a nutrire ingenuamente la speranza di vedere una luce in fondo a quel tunnel in cui ero entrato a pagina 1. Ma nessun barlume è mai apparso. Delusione di non potersi beare di un capolavoro, ovvero come tale immaginavamo il libro al momento dell'acquisto.
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