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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2013
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Il libro raccoglie tre distinti scritti di Clifford, editi tra il 1872 e il 1877: Sugli scopi e gli strumenti del pensiero scientifico; L'Etica della religione; L'etica della credenza. Clifford è esponente dell' "illuminismo radicale" e sostenitore dei "liberi pensatori". Si fa portavoce della necessità di "provare", "sperimentare" ogni affermazione. Non vi è verità se questa non è sottoponibile e sottoposta a prova ("è sempre sbagliato credere a qualcosa in base a evidenze insufficienti"). Le tradizione ha il solo scopo di fornire gli strumenti che permettono di verificare l'attendibilità di un affermazione. Ciò porta ad escludere la veridicità di qualsiasi affermazione riguardante eventi "unici", "irripetibili" e pertanto non analizzabili da altri. Ciò esclude il ruolo di una "casta sacerdotale" che si ponga quale detentrice della verità. Se uomini saggi e onesti (fa gli esempi di Buddha e Maometto) affermano tesi divergenti (esistenza o meno di Dio) vuol dire che uno solo dei due avrà ragione. La bontà del testimone non è, quindi, sufficiente a sostenere la veridicità dell'affermazione. Pertanto, se Maometto, uomo onesto, sostiene che gli è apparso l'arcangelo Gabriele, essendo questo evento non provabile, egli non sarà degno di fede. Ciò porta C. ad esprimere un giudizio netto su "eventi" come quelli di Lasatte e Lourdes, considerati "esempi di immorale e degradante superstizione". Nel pensiero di C. ciò che domina è il dubbio, la necessità di testare continuamente la bontà di affermazioni e credenze, anche in ambito sociale. C. pone naturalmente le scienze sperimentali ed esatte (matematica, fisica, chimica, etc.) al vertice della piramide della conoscenza. Altre discipline, maggiormente sottoposte alla "non scientificità" dei dati, sono considerate meno esatte e veritiere ("le inferenze di tipo storico sono più precarie e meno esatte delle inferenze in tante altre scienze"). E' facile comprendere le conseguenze in termini di fede e religione. Esemplare la conclusione a cui C. giunge nell'esempio della tribù africana convinta dallo stregone del villaggio a sacrificare il bestiame per avere i favori di un amuleto sacro: "farà senza dubbio bene e sarà amico dell'uomo colui che la metterà in discussione e scoprirà che non ci sono evidenze a supportarla, poi aiuterà il suo prossimo a pensarla come lui e, se necessario, entrerà nella tenda sacra e distruggerà l'amuleto". Viene meno la "casta sacerdotale", viene meno l'attendibilità e indiscutibilità dei testi sacri, viene escluso anzi considerato inutile il mistero. Tutto è modificabile, quindi non può esistere un definitivo e certo Decalogo. Tutto ciò discende dalla chiara convinzione di C.: "i contorni vaghi e indistinti della divinità sovrumana sfumano dinanzi a noi; e mentre la nebbia della sua presenza aleggia tutt'intorno, percepiamo con sempre maggiore chiarezza la forma di una figura ancora più grande e nobile - di Colui (cfr l'Uomo) che ha fatto tutti gli dei e che li disferà". Non vi è nulla di vero, giusto e buono se non è confermato da un'attenta e continua analisi. Anche le convinzioni più radicate nella società vanno testate, provate e se non conformi a ragione vanno rifiutate. Non vi è pertanto più nulla su cui fondare gli umani convincimenti se non la ragione stessa e il continuo instancabile impegno a verificare la fondatezza di ogni affermazione, uso, prassi, costume, credenza. Tolto Dio, non rimane che l'Uomo, non rimane che la Ragione su tutto e prima di tutto.
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