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Film incredibile, intrigante ed avvolgente. Impossibile restare indifferenti davanti a quest'opera. Lanthimos si conferma uno dei migliori autori del cinema contemporaneo.
Film straniante, a tratti oscuro, ma pure ironico e surreale. Incarna perfettamente la mia idea di cinema indipendente concepito con accuratezza ed eleganza. L'idea di fondo è la presunta necessità, addirittura obbligo, di vivere in coppia perché le alternative sono forme troppo pericolose di solitudine. L'amore come mero patto sociale dunque, esorcismo all'io fine a se stesso e tutto ciò che si contrappone o non regge il peso di questa contrattazione è colpa, punibile con pene infernali. Il finale, aperto ma con qualche limitazione di troppo alla speranza, ha una struttura volutamente tronca quasi ad esaltare il senso di vuoto e l'abisso che ho avvertito come una costante durante tutto il film
Atmosfere alla Orwell di futuri non troppo lontani da una società attuale impoverita di sentimenti ed infarcita di violenza, sono quelle che si delineano sin dalle prime scene del film. Un uomo viene lasciato dalla moglie e quindi commette suo malgrado il crimine di divenire single, figura non inquadrata nel sistema elaborato per mantenere ordine e disciplina. Viene dunque condotto in una sorta di” albergo “il cui scopo è quello di trovare un compagno/a ad i solitari loro malgrado. ed attorno al quale vivono coloro che al sistema cercano di sfuggire, selvaggiamente ed ognuno per sé, seppure in comunità. Tutto è infatti concesso nell’altro enclave Bosco (tre sono infatti i luoghi del mondo di “The lobster”: Albergo, Bosco e Città )eccetto l’amore. Gli ospiti forzati dell’hotel soggiornano per un periodo circoscritto, al termine del quale, se non si è riusciti a farsi accettare da un compagno, si finisce con l’essere trasformati in bestie. Tutti si adattano a tutto, spersonalizzano quel poco che resta del proprio io pur di stare insieme a qualcuno e non essere soli. Un film in cui i legami sono basati su trascurabili inezie che diventano fondanti per mantenere vivo il rapporto, (l’essere miopi o avere un qualche difetto alla vista diventa essenziale per il legame che il protagonista ricerca), ironizzando dunque su gli esili fili che spesso legano gli individui. Rapporto a due che risulta essere àncora di salvezza in un mondo che non ammette solitudine fisica ma coltiva al massimo grado quella dei sentimenti. Avere un compagno, fare figli (o “averli in regalo” dal sollecito sistema sociale quando concepirli non è possibile) è tutto e null’altro occorre per essere felici, o comunque a fingersi tali. Ed è questo che le dimostrazioni a mo’ di spettacolini all’ interno dell’albergo tendono ad inculcare, mostrando la convenienza dell’essere in due, sempre e ad ogni costo. La violenza ed il sesso diventano atti meccanici a cui i personaggi che si muovono in questa realtà distopica sembrano assuefatti. “The lobster” risulta dunque un film sulla capacità di adattamento, ovvero la capacità mimetica di fingersi altri da sé pur di far parte dell’universo- coppia e dunque spaccato della condizione di essere” scoppiati” oltre l’età consentita e dell’ansia di avere poco tempo per realizzare ciò che è d’uopo per essere cittadini meritevoli. I personaggi di Lanthimos non hanno personalità approfondite ne paiono nutrire sentimenti complessi, perché al regista greco interessa mostrarci un mondo in cui lo sviluppo individuale è bandito e l’ipocrisia di fingersi felici è assoluta. In cui la libertà non è concessa in nessun luogo, e meno che mai in città, luogo della massima ipocrita finzione. Nessuna poesia o briciola d’anima è consentita in un mondo tale. Un film che sembra alla fine, con il suo finale aperto e amaro, rivolgerci la domanda: “E tu, cosa e quanto sei disposto a perdere pur di non rimanere solo?”. Basti pensare alle innumerevoli sollecitazioni a cui ognuno di noi è soggetto, per comprendere quanto questi scenari che paiono pura fantascienza, siano in realtà violenze psicologiche a cui qualsiasi cittadino del mondo attuale è soggetto suo malgrado. Un film disturbante sia per contenuto sia per scelta registica, sapientemente diretto e che possiede un andamento unico, tratto distintivo di Lanthimos. Scene come quella della prima caccia ai ribelli del bosco con il sottofondo musicale stridente o la placida atmosfera in cui al trasgressore di una delle regole fondanti dell’hotel, ovvero il non poter praticare l’autoerotismo, (e quindi l’essersi considerato uno in un mondo che non consente lo sviluppo dell’io), vengono infilate le dita in un tostapane, possiedono la capacità di elevare il film per qualità e presa sul pubblico. Ottima la scelta del cast, con un Colin Farrell in una delle sue miglior prove, calato perfettamente nel mondo grottesco e spaventoso di Yorgos Lanthimos. Giovanna Crimi
Recensioni
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