Ciò che mi colpisce di più quando leggo un libro di Simenon, sia che si tratti di un giallo con protagonista il celebre commissario Maigret, sia che abbia a che fare con romanzi noir, o comunque con un’atmosfera di sospetto, è lo straordinario stile dell’autore belga. L’opera può essere più o meno riuscita, ma è innegabile la presenza di una qualità di assoluta eccellenza con una scrittura piana, relativamente semplice, ma diretta, tale da riuscire sempre a coinvolgere il lettore. Non è che Simenon ami dilungarsi nelle descrizioni dei personaggi e degli ambienti, anzi le sue sono poche e misurate pennellate che consentono a chi legge di vedere come se fosse là, sul luogo della scena. E’ questo il caso anche di Maigret e l’uomo solitario, con un’insolita vicenda che trae origine dall’omicidio di un barbone, rasato di fresco e con le mani estremamente curate, tanto da far dire a Maigret “Sembra un vecchio attore nel ruolo di un barbone”. Qui non ci sono cieli con nubi gravide di pioggia, né nebbie fitte e impenetrabili, anzi siamo in una Parigi agostana, in parte spopolata dai suoi abitanti per la tradizionale villeggiatura, ma affollata di turisti. Ma ritorno allo stile e rilevo, piacevolmente, che ho l’impressione di essere in strada con il commissario a Montmartre, alla ricerca di alberghetti e pensioni compiacenti, così come ho netta la sensazione di vedere la birra che ogni tanto si concede nei bistrot, insomma più avvinto di così non potrei essere. Simenon, senza ricorrere all’eloquenza di un D’Annunzio o di un Sholokhov, rende partecipi con un’immediatezza a dir poco strabiliante, ma non è l’unico pregio, perché vi è anche una capacità considerevole di sondare in profondità l’animo umano, di mettere a nudo l’intimo di ognuno, dal maggior indiziato a una clochard testimone. E, se non bastasse anche la trama veramente interessante, l’autore belga ha l’innato dono di condurre per mano il lettore in modo che giunga insieme a Maigret all’identificazione del colpevole, senza colpi di scena improvvisi, ma con pedine mobili che poco a poco scoprono un tassello di un intricato mosaico quale è quasi sempre un fatto delittuoso. A volte scoprire il colpevole non è un piacere, quando questi meriti, per circostanze varie, tutta la nostra pietà, la stessa pietà che Simenon riserva a personaggi non naturalmente inclini all’omicidio, ma che lo hanno commesso per fatalità o anche per un estremo senso di giustizia. E così, in questi casi, la vera vittima finisce con l’essere quello che subirà il carcere, fatto non inconsueto nella produzione dell’autore belga, che finisce sempre con l’offrire un concetto variegato di giustizia che solo il lettore disattento non potrà cogliere. Maigret e l’uomo solitario è un eccellente romanzo e, quindi, è meritevole di lettura.
Maigret e l'uomo solitario
La stanza era piuttosto spaziosa, e i vetri delle due finestre erano stati rimpiazzati da cartoni e carta da pacchi. Il pavimento sconnesso, con larghe fessure tra i listelli di legno, era ingombro di un incredibile ciarpame, oggetti per lo più rotti e totalmente inutilizzabili. Colpiva, in particolare, sopra una branda di ferro coperta da un vecchio pagliericcio, un uomo completamente vestito e palesemente morto. Il petto era coperto di sangue rappreso, ma il volto aveva conservato un'espressione serena. L'abbigliamento da barbone strideva con il volto e le mani. Era piuttosto anziano e aveva lunghi capelli argentei dai riflessi azzurrini. Anche gli occhi erano azzurri, ma la loro fissità metteva a disagio e Maigret glieli chiuse. Portava baffi bianchi leggermente arricciati e un pizzetto, bianco anche quello, alla Richelieu. Per il resto era rasato di fresco, e Maigret ebbe un'altra sorpresa notando le mani estremamente curate. «Sembra un vecchio attore nel ruolo di un barbone» mormorò. (Le inchieste di Maigret 71 di 75)
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Renzo Montagnoli 20 novembre 2012
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