Pubblicato nel dopoguerra, “Una manciata di more” denuncia l’ establishment del Partito comunista, che sembra perdere di identità nell’adozione di strumenti simili a quelli del regime appena debellato. Silone, che in gioventù milita attivamente nel Partito comunista, assume la voce delusa e disillusa di Rocco, combattente della Resistenza che, tornato da Mosca, intende denunciare le zone d’ombra della neonata dittatura. Accompagnatosi a Stella, fedele al Partito fino a quasi morirne per poi evadere in extremis, Rocco ridefinirà l’ideale partigiano di uguaglianza, fratellanza e libertà nella fondazione di una comune ispirata dal senso di giustizia e solidarietà verso i poveri.
Una manciata di more
Una contrada fuori mano dell'Italia meridionale. I mutamenti politici, l'indomani dell'ultima guerra, vi acquistano un'evidenza esemplare, suscitando le medesime illusioni e paure che altrove. Ma dopo tutto, dice Silone, le relazioni fra gli uomini rimasero le antiche. Contadini e pastori, vecchi proprietari in concorrenza con gli arricchiti del mercato nero, funzionari dei nuovi apparati e, fra gli altri, un gruppo di uomini onesti, di varia origine e formazione, restii a falsificare in termini di potere e di sopraffazione la loro spontaneità umana, a tradire i propri moti di istintiva solidarietà. Ne nasce un tono patetico, commosso e, in fin dei conti, schiettamente utopistico. Benché la persecuzione finisca per prevalere, nella narrazione la speranza si salva, grazie a una risorsa che unisce alla concretezza dell'umile fatto di cronaca il valore del mito.
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Autore:
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Edizione:2
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Anno edizione:2018
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Lina Gal 02 gennaio 2025
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Renzo Montagnoli 22 settembre 2019
Questo romanzo, parafrasando in parte il titolo di una più fortunata opera successiva dell’autore, avrebbe potuto meglio essere intitolato L’avventura di un disilluso comunista. Che Ignazio Silone sia stato un cristiano senza chiesa e un socialista senza partito penso sia ormai incontrovertibile, così come appare forse incontestabile che dalla sua innata religiosità promani un’aspirazione politica a un mondo senz’altro più sociale, in cui le comuni identità non soffochino la spiritualità di ognuno. Questi contrasti nell’impossibilità per l’autore di trovare un partito in cui identificarsi finiscono per incernierare questo racconto ambientato nell’immediato dopo guerra nella sua Marsica, terra ricca di miseria, con piccoli borghi in collina e montagna, caratterizzata da ampie foreste in cui trovano rifugio i lupi. Non sto ad anticipare nulla della trama, peraltro non semplice, limitandomi a evidenziare i caratteri salienti dell’opera che è un’evidente denuncia dei comportamenti non certo canonici del Partito Comunista Italiano in quel periodo, un’istituzione rifugio, ma anche fonte di lucrose opportunità per gli ex fascisti che avevano l’impellente bisogno di cancellare il passato, rifacendosi una nuova verginità. In contrapposizione vi è invece la profonda delusione di chi credeva in un mondo diverso e più equo, grazie a un’idea di comunismo associata a uno stampo egalitario e di giustizia che mai si ebbe poi a concretizzare. Il partito diventa così un apparato per imporre ai suoi accoliti una cieca obbedienza, per far credere che solo con la supina accettazione delle direttive sarà possibile raggiungere quegli scopi, quegli ideali che non tarderanno a rivelarsi chimerici. Come è possibile comprendere Una manciata di more è un romanzo amaro, è la disillusione di un’antifascista che tanto ha rischiato nel ventennio confidando in un’Italia migliore e che si accorge che dopo tanti patimenti, dopo le sofferenze di un intero popolo nulla è cambiato. Tuttavia, proprio perché a un uomo non può essere negata la speranza in un mondo nuovo, Silone nello spiegare in questo romanzo il motivo perché è uscito dal Partito a cui è stato iscritto con partecipazione attiva per molti anni, non può non far balenare, prima per se stesso che per gli altri, una soluzione, l’unica ormai rimasta e che possa consentire di guardare con fiducia al futuro, ed è una soluzione utopistica, è quel desiderio di essere parte di piccole comunità spontanee, non istituzionalizzate; è un ritorno alle origini, allo spirito innato di chi crede ancora nell’amicizia, nella solidarietà, e che è convinto che non sia impossibile trovare una via per percorrere una strada comune verso la la giustizia e la libertà, come anche in fondo viene espresso in un altro suo romanzo (Il seme sotto la neve). Una manciata di more è un bel libro, non bellissimo, perché Silone ne ha scritti di migliori, come Fontamara e appunto Il seme sotto la neve, ma è comunque senz’altro meritevole di lettura.
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