Maria De Angelis
La vicenda di Ignazio Mesones si sviluppa attorno a un dramma giudiziario che scosse l’opinione pubblica italiana e internazionale nei primi decenni del Novecento. Mesones, figlio di un ambasciatore peruviano e di una nobildonna romana, crebbe in un ambiente di privilegi, ma la sua vita fu segnata dalla sregolatezza, da impulsi contraddittori e da una profonda inquietudine. La sua esistenza errabonda lo portò a intrecciare relazioni tumultuose con diverse figure, tra cui due donne che avrebbero segnato in modo indelebile il suo destino: Bice Simonetti, che divenne sua moglie e successivamente la sua vittima, e Maria De Angelis, l’amante che rappresentò per lui una passione ossessiva e travolgente. Il 31 dicembre 1917, Bice Simonetti scomparve misteriosamente da Roma. Qualche giorno dopo, il 4 gennaio 1918, il suo corpo fu ritrovato sulle rive del Lungotevere Marzio, con una ferita mortale all’orecchio sinistro. Tuttavia, il cadavere venne identificato come Maria Rotellini, una giovane profuga. Tutti gli indizi iniziali portarono alla conclusione di un suicidio, ma più di un anno dopo, un'inquietante rivelazione gettò un’ombra sulla ricostruzione ufficiale. Maria De Angelis, in confidenza con un ex amante, Emilio Benucci, rivelò che il corpo trovato sul Lungotevere non era quello della Rotellini, bensì quello di Bice Simonetti, assassinata e fatta passare per la profuga. Questo dettaglio diventò il fulcro dell’accusa che avrebbe travolto sia Mesones che la sua amante. Il processo che ne seguì fu lungo e travagliato, pieno di contraddizioni e colpi di scena. Mesones negò di aver ucciso la moglie, sostenendo che Bice si era suicidata per evitare le conseguenze di un delitto che aveva progettato contro Maria De Angelis. Il tribunale, però, non credette alla sua versione e lo condannò a ventitré anni e nove mesi di carcere, una sentenza che, data la sua precaria salute, equivaleva a una condanna a morte. Morì infatti nel penitenziario di Turi il 27 aprile 1929, portando con sé il segreto del delitto. Diversa fu la sorte di Maria De Angelis. Considerata istigatrice morale dell’omicidio, fu condannata a dieci anni e sette mesi di reclusione, anche se non vi erano prove concrete del suo coinvolgimento diretto. Dopo aver scontato parte della pena, beneficiò di un condono, tornando in libertà. La sua vita, però, era segnata dal peso del passato e dalla responsabilità di crescere Giacomino, il figlio nato dalla sua relazione con Mesones. Il bambino, nato nel 1916, era l’unico affetto puro nella sua esistenza travagliata, un simbolo di redenzione in un destino segnato dalla tragedia. Il racconto si muove tra scenari contrastanti, dai lussuosi palazzi romani alle buie celle delle Mantellate, dalla decadenza aristocratica ai vicoli popolari, costruendo un’atmosfera intensamente drammatica e ricca di pathos, in cui l’amore, il crimine e il destino si intrecciano inesorabilmente. La vicenda di Ignazio Mesones, con le sue tinte fosche e i suoi intricati misteri, possiede tutte le caratteristiche di un grande romanzo gotico. L’autore riesce a immergere il lettore in un’atmosfera densa di tensione, in cui la verità sfugge costantemente alla comprensione, avvolta nelle ombre del dubbio e nelle incertezze del processo giudiziario. Il racconto, abilmente strutturato, mescola la cronaca giudiziaria con l’analisi psicologica dei personaggi, dipingendo un affresco vivido di un’epoca e dei suoi drammi. L’abilità narrativa traspare nella caratterizzazione dei protagonisti, descritti con sfumature complesse e ambigue. Ignazio Mesones, ermafrodita sentimentale, figura decadente e prigioniero delle proprie passioni, incarna il tormento dell’uomo che vive ai confini della follia e della perdizione. Maria De Angelis, al contempo vittima e femme fatale, è un personaggio dalle molteplici sfaccettature: una donna piegata dal destino, ma anche dotata di un magnetismo innegabile, capace di influen
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