Una tra le ultime creazioni poetiche di Marina Cvetaeva, la tragedia Fedra (1928) chiude il periodo di maturità della poetessa russa e si conferma l'opera di maggiore complessità degli anni dell'esilio in Francia. Corpo poetico stratificato, polifonico, che al mito intreccia il folclore russo, la Bibbia e la tradizione sul soggetto classico, Fedra esprime il senso di disappartenenza al mondo, la legge del non-incontro che tanta parte ha avuto nella vita di Cvetaeva (da ultimo, il mancato incontro con Rilke nel 1926). A pochi anni di distanza dal debutto della Fedra di D'Annunzio, Cvetaeva presenta un'eroina "di ossa - non di carne", una voce vivida, un sussulto d'amore, uno spazio per l'anima. La nuova traduzione qui proposta avvicina il lettore italiano agli arabeschi sonori su cui poggia quella grandiosa edificazione fonetica che è la lingua di Cvetaeva, barocca e altisonante, a tratti essenziale e sibillina, sempre pulsante e generatrice di accostamenti semantici imprevisti.
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Anno edizione:2011
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