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Devo dire che come donna, femminista, sono affascinata da questo tipo di prosa. Sicuramente è perché non credo all'amore romantico e nemmeno leggo romanzi nell'idea di ricavarne concetti morali che mi potessero servire poi nella vita. I romanzi che piacciono a me sono quelli che permettono di esplorare in libertà le zone buie, conflittuali, dei rapporti umani. Con questo ultimo libro di Mauro Corona sono pienamente soddisfatta. Mi è piaciuto molto di più che "La via del Sole", che avevo trovato un po' troppo rocambolesco, cioè non mi ha molto convinto nel fantasticare sul desiderio di onnipotenza, come l'ha descritto li. Questo libro è paradossale, ma io lo vedo come geniale. Se contiene un messaggio morale, lo vedo come oscurato. Bisogna supporre, come l'ho fatto io, e questo mi ha reso la lettura abbastanza affascinante, che un messaggio di speranza c'è e che l'autore, Mauro Corona, non si confonde con il narratore senza nome e senza speranza. Intravvedo nel racconto un messaggio positivo nel fatto che questa violenza, descritta meticolosamente, possa diventare così apparente, così scandalosa, che finalmente un modo per rimediarci possa essere individuato. Perché quello che ha permesso a una cultura misogina di esistere e durare per secoli, è il silenzio nel quale si sono trovate le vittime, la banalità del male. Secoli di misoginia patriarcale, quindi molto più dei 150 anni del racconto, che tratta di mummie intrappolate e nascoste. Nelle culture patriarcali severe le donne non hanno altra scelta che tacere, sottomettersi e quindi, diventare bersaglio della violenza sociale (non solo maschile) appena fanno una mossa che avrebbe permesso loro una azione soggettiva creata in libertà, mossa necessaria per diventare un essere umano uguale in dignità all'uomo. Questa incapacità, da parte dei dominatori maschi, di lasciare spazio alla soggettività delle donne è la radice che porta quel tipo di atrocità descritte nel libro di Corona. Come se servisse che nella coppia uno stesse fermo e ubbidiente, così quell'altro ha il potere di gestire, e nel patriarcato il potere soggettivo della gestione è attribuito esclusivamente agli uomini. A rafforzare l'idea che questo libro parla di uguaglianza come valore di speranza e non soltanto di violenza, mi sembra che Corona, nel descrivere il rapporto con quella donna senza nome, che chiama "l'alba delle prime volte", esprime considerazioni sul benessere che prova a vivere nell'uguaglianza con lei, per il fatto che lei sia vivace, libera, imprevedibile, ma si nota anche che poi i due caratteri si scontrano. Quindi l'uguaglianza nella coppia appare come fattore che può portare a vivere tensioni. Nel quadro di quel rapporto, come è stato descritto nel libro, si era trattato di baruffe lievi, gestibili, fino al momento che lei si è disinteressata di lui. Quindi per sanare la misoginia, prima è necessario porre il diagnostico, e prima ancora vedere il male. Ed è in questo che servono le descrizioni meticolose di Corona, dal mio punto di vista. Così può avvenire la presa di coscienza, poi infine la catarsi. Per denunciare un male che si trasmette in modo inconscio, tramite la cultura, ci vuole un modo che parla direttamente all'inconscio, quindi non un discorso di denuncia, ma un discorso di identificazione con il violento. Si presume poi che una catarsi debba avvenire, ma come? Semplicemente quando il lettore ritorna in sé, dopo la lettura, un po' allo stesso modo che il protagonista esce fuori dalle sue allucinazioni, descritte da Corona con una meticolosità quasi maggiore in rapporto alle scene di violenza. La catarsi avviene quando il lettore si accorge che la violenza che lo disgusta non è reale, ma soltanto una rappresentazione che egli si è creato mediante la lettura del romanzo. La catarsi e resa possibile perché violenza è raccontata, virtuale, fiabesca, quindi incompiuta nel mondo reale. Chi si blocca alla lettura di questo romanzo è sicuramente per il timore di un molto improbabile passaggio dal virtuale al reale, che non si produce perché il più spesso questi due livelli rimangono dissociati. Perché a questo serve la letteratura, il teatro e le arti in generale. Quindi, rimettendo le cose apposto, ci si accorge che questo romanzo non è affato un libro che promuove la violenza, ma l'opera di un autore che conosce il principio della catarsi, e quindi che mira piuttosto tramite il racconto a sanare questi comportamenti violenti, dando l'allerta, ma senza compiere nessun danno. Si nota anche poi nel libro che il lettore riesce a identificarsi al protagonista soprattutto quando questo si interessa di decifrare i segni, mica per gli stati d'animo depressivi dove descrive, impotente, l'indole che porta a comportamenti misogini o violenti. Non cerca di insegnarci o invogliarci ad essere violento, siccome questo lo riconosce come un diffetto suo.
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