Un autore che sa scrivere, è indubbio. Storie piene di angoscia e di desiderio sessuale. Molti dialoghi, a volte surreali. Si respira pessimismo senza speranza alcuna. Accostato a Solženicyn, letto in parallelo, i personaggi di Purdy mi hanno un po' disgustato.
Non chiamarmi col mio nome
«Purdi è un campione nel gestire intensità emotive elevate conservando un'eleganza che confina col decoro e lasciando allo stesso tempo tracimare sottotraccia un senso di sordido disagio che ogni volta suggerisce che non vi sono possibilità di redenzione.» - Vanni Santoni, La lettura - Corriere della Sera
James Purdy e la sua scrittura rimangono un rebus oggi come ieri. Amato da autori che non potrebbero essere più diversi - tra gli altri Jonathan Franzen, Gore Vidal e David Means che firma l'introduzione a questo libro -, non ha mai incontrato il favore del grande pubblico né lo ha mai ricercato. Forse proprio perché non l'abbiamo capito meriterebbe ancora un'altra chance per confonderci e sviarci, per mostrarci come la letteratura possa ancora essere un oggetto misterioso che prescinde da regole di scrittura fissate come fossero le tavole del tempio. La prosa di Purdy potrebbe suonare anacronistica, con le sue didascalie, il suo marchiano "tell don't show", questi personaggi che fulminano a bruciapelo gli interlocutori con domande sul senso delle cose, stridenti nella loro chiarezza e crudeli nel loro essere stralunate. I neon di un cinema notturno piuttosto equivoco squillano "uomini uomini uomini", e nella sala buia qualche marchettaro è intento a conoscere col tatto corpi e fremiti propri e altrui. Così come gli Holden efebici che perlustrano gli anfratti più bui di un parco sordido varcano quel territorio di confine che è l'omosessualità, allo stesso modo la lingua di Purdy sta e si misura fra ciò che dice e ciò che esclude dall'esser detto, ciò che rimane fuori ma soprattutto sotto l'abito di parole confezionato da questo formalissimo sarto letterario. Sotto una spessa patina di urbanità e manierismi, pulsa una voragine di desiderio e gli interpreti azzimati e ossequiosi di queste turpitudini mai esibite, ma solo ruminate e vissute, hanno un'onomastica e una "quirkiness" tutta dickensiana. Nell'America che ha fatto una patologia della sua purezza, Purdy si prende il rischio di addossare la colpa alle vittime, con una prosa perturbante che non disvela e non smaschera, ma anzi fa più buio quando ci sono tutte le luci accese.
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Anno edizione:2018
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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LakesMeadow 13 marzo 2022
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Come avrete capito, una raccolta che merita assolutamente l´attenzione degli appassionati del racconto (che poi per forza sono appassionati di letteratura) e di americana. Bella e curata anche l´edizione, con una mia piccola presa di distanza che trovate sotto il secondo post-scriptum. Primo Post-Scriptum: qualcosa di quest´autore aveva già raggiunto le librerie italiane, lasciando un attimo da parte le edizioni ormai vintage segnalo i romanzi Rose e cenere e Cabot Wright ci riprova, entrambi per la "vecchia" Dalai, ma entrambi tuttora disponibili.
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In particolare grazie a un certo rigoglio di editori indipendenti e creativi, questi anni sono ricchi di "lanci" di scrittori statunitensi da riscoprire, quelli che un po´brutalmente si potrebbero definire minori. Questo apre un discorso più complesso, ovvero se la seconda definizione coincida con la prima, escludendo quindi un sostanziale debito di qualità, che costringe all'appartenenza alla categoria. Immagino si debba giudicare caso per caso. Per quanto ho avuto da leggere, esistono minori che rimangono tali perché semplicemente meno bravi dei "colossi" e altri dove il dubbio sussiste: la minorità potrebbe derivare ad esempio da una tendenza a essere outsider, che a sua volta potrebbe significare semplicemente una ritrosia, una difficoltà a stare al centro della scena, visto che prendersela è eccitante, ma anche terribilmente faticoso (o potrebbe esserlo, a seconda delle inclinazioni).
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