La nostra insensata ragione
Le liriche di questa raccolta si dispiegano in uno strano intreccio tra le ragioni della poesia e gli enigmi dei tarocchi. Raggruppate nel titolo “La nostra insensata ragione”, queste poesie sono legate agli arcani maggiori da un primo segno riconoscibile, il numero: sono ventidue come le carte dei Tarocchi, e ciascuna è collegata a una carta. E, come le carte di quell'antico gioco, questi versi disegnano un itinerario dell'immaginazione, un esercizio di connessione con l'arcano alla ricerca di corrispondenze, di affinità sottili e impreviste tra gli archetipi e la realtà. I versi cominciano osservando i fatti reali, accaduti qualche decennio fa - le guerre nei paesi balcanici e medio-orientali, l'attentato alle torri gemelle, il terrorismo feroce e assassino - fatti che si ritenevano superati e che invece si ripropongono oggi terribilmente attuali, ancora una volta raccontati dalla televisione e dai media, ripetuti e amplificati ossessivamente davanti ai nostri occhi. La loro invadenza mediatica continua a riaprire le stesse piaghe e gli stessi interrogativi, irrisolti e angosciosi, sui mali del mondo. Per quanto io mi sforzi di rispondere interiormente al mio desiderio di concordia, mi riesce impossibile abituarmi all'ingiustizia, impossibile abituarmi al male. E ostinatamente ripeto un volontario esercizio di fervore civile e di fantasia alla ricerca di una parola che curi le ferite del presente. In questa raccolta, gli Arcani maggiori, che elegantemente raffigurano le immaginarie indicazioni di altrettanto fantasiose forme della natura e del mito, offrono il loro aiuto alla poesia. Ma gli Arcani sono figure mute e bisogna farle parlare. Sfortunatamente, noi abbiamo perduto l'abitudine degli antichi di immergerci in riflessioni profonde suggerite dall'aspetto delle cose naturali. La natura è per noi un libro chiuso. L'istinto della parola, senza più la sua naturale sonorità, per noi rimane muto. Forse, la parola che cerchiamo è quella del Matto, l'ultima carta del mazzo dei Tarocchi. O la prima, perché il Matto è la carta segnata con il numero zero, il primo o l'ultimo numero della serie, che non fa parte della serie ma non le è estraneo. Proprio come la parola poetica, che non fa parte della quotidianità ma non ne è separata. Irrazionale e incomprensibile come l'infinito, il Matto può stare all'inizio o alla fine perché è una carta libera e vagabonda, leggera e un po' insensata come la follia segreta dei saggi. Forse è sua la parola che guarisce. Non è mai la prima e non è mai l'ultima, pertanto non è mai definitiva. Per questo se ne va in giro lasciandosi irragionevolmente sostenere dalla sua ostinata e stravagante idealità.
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