Cieco da un occhio dopo un incidente aereo, Gabriele D'Annunzio si trova incapace di compiere le operazioni più comuni e persino di scrivere in maniera continuativa. Nasce così il "Notturno", resoconto del periodo di malattia stilato una frase alla volta su singole strisce di carta, poi ricomposte e messe nel giusto ordine dalla figlia. Spesso si parla del "Notturno" definendolo uno dei capolavori di D'Annunzio. In effetti, a leggerla oggi, l'opera risulta se non altro interessante per inquadrare la figura del grande poeta - militare a tempo perso - che qui ferito ed annichilito dalla cecità parziale mostra le proprie debolezze, allontanandosi dalla sua immagine di vate e condottiero. È anche vero che gli stessi romanzi di D'Annunzio, talvolta, mostrano sentimenti analoghi, anche se attribuiti ovviamente dallo scrittore ai suoi personaggi. Sebbene ci si possa aspettare una dolorosa ed affascinante confessione autobiografica, presto si scopre che D'Annunzio si sforza in ogni modo di impreziosire la sua prosa con orpelli retorici che rendono il resoconto pesante e di difficile lettura - confezionando una narrazione fuori dal tempo, inutilmente inghirlandata e lontana da qualunque modernità. Il poeta, insomma, si confessa debole ma sempre attraverso quel linguaggio aristocratico e altisonante che lo contraddistingue. Si salvano alcuni passi interessanti - alcuni scorci intimistici che vale comunque la pena leggere
Amore, morte e dolore sono i temi di questa intensa confessione lirica, scritta quando, in seguito a una grave ferita di guerra, D'Annunzio è costretto a indossare una benda su entrambi gli occhi, che lo condanna a una temporanea cecità e a una immobilità pressoché totale. Eppure il poeta non rinuncia a scrivere. In una sorta di divinazione, annota su sottili strisce di carta "Visioni immense affluenti dal cervello all'occhio ferito, trasformazioni verbali della musica". Cosi s'intrecciano i ricordi dell'infanzia e della madre, l'esaltazione eroica delle imprese di guerra, il rimpianto per i compagni morti valorosamente, l'affetto per la figlia Renata e il presente della malattia. Un'opera sorprendente, che ci rivela un D'Annunzio commosso, ripiegato su se stesso, lontano dalla tensione superomistica delle liriche e dei romanzi.
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Anno edizione:2011
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