La nuova oggettività tedesca
Nel 1918 la Germania esce sconfitta dalla guerra; l'imperatore Guglielmo II abdica e fugge, mentre focolai di insurrezione (e poi di reazione e quindi di guerra civile) si accendono in tutte le maggiori città; lo stato tedesco, che nel 1919 si costituisce in Repubblica di Weimar, è costretto dai vincitori a restituire schiaccianti debiti di guerra e si trova così a fronteggiare un'inflazione incontrollabile e con essa una disoccupazione dilagante e una criminalità atroce. È su questo scenario drammatico che si delinea il movimento della Nuova Oggettività, a cui si possono ricondurre artisti come Dix, Grosz, Schad, Schrimpf, Beckmann, Schlichter e molti altri, dei quali questo libro raccoglie le dichiarazioni di poetica. Realtà, naturalismo, verismo sono le loro parole d'ordine. All'afflato lirico e dionisiaco dell'espressionismo, che voleva porre l'individuo al centro dell'universo, subentra una dichiarazione di sfiducia nei confronti dell'io e un appello alle cose, alla dura lezione dei fatti. All'arte non si chiede più un'interpretazione o una trasfigurazione della natura, ma una descrizione esatta, impersonale, fotografica. Per questo si parla di «impassibilità», «asciuttezza», «sobrietà», «precisione», «chiarezza», «fedeltà al dato». Si cerca un linguaggio che non comunichi emozioni, ma informazioni e assecondi non l'effusione dei sentimenti, ma il loro superamento. Franz Roh, nel suo libro Realismo magico (1925), sostiene che la bellezza dipende «dalla forza gelida dell'immobilità, dal sottrarsi implacabile a ogni movimento». E Max Beckmann già nel 1918 scrive: «Amo la pittura, credo, perché costringe a essere oggettivi... L'unica cosa che può dare un senso alla nostra esistenza è dare agli uomini un'immagine del loro destino».
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Anno edizione:2021
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