I romanzi degli autori bravi e volenterosi quando finiscono, finiscono; ti lasciano impressioni e riflessioni e morta lì. I romanzi degli scrittori-scrittori, come è il caso di Roth, ti lasciano denudato, profanato, aggredito, aperto. Più vivo, ecco, e più consapevole di tutto ciò che minaccia la vita, morte compresa, per quanto la morte non sia la minaccia maggiore, al più l'unica che mantiene immancabilmente la parola data, data anche a te e che la morte si riprende.
Il libro, come recita il sottotitolo, è una storia vera. Protagonista è Hermann Roth, il padre di Philip. Hermann è un vedovo di ottantasei anni, agente di assicurazioni in pensione, conosciuto un tempo per il suo genio, la sua forza e il suo fascino, che ora lotta contro un tumore al cervello. Colmo di amore e attenzioni, di ansia e terrore, Philip accompagna il padre in ogni momento di questa enorme esperienza, lungo il calvario di una dilatata agonia. Il figlio condivide l'umore e le miserie che il malato è costretto a subire: consulti medici, l'orrore del decadimento fisico, l'attesa inumana della separazione finale. Gli episodi memorabili si accumulano: il figlio che paragona la fredda tomografia del padre al calore della propria biografia; il confronto del suo lascito patrimoniale con quello di un taxista psicopatico; ma anche il concerto di musica da camera suonato dagli amici per Hermann; o Philip che telefona a Joanna, una compagna d'università, per calmare le proprie angosce.
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hardcover 187 9788806190804 Nuovo (New).
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Anno edizione:2007
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Coda 09 gennaio 2025Il patrimonio della scrittura
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Lau 28 dicembre 2024Profondo, intimo e triste.
Libro di Philip Roth molto intimo, nel quale mette a nudo il doloroso percorso che ha portato alla morte del padre a causa di una terribile malattia invalidante. Nonostante la tematica affrontata sia tutt'altro che leggera, la lettura del romanzo si è dimostrata davvero un'esperienza piacevolissima. Ne consiglio la lettura,
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Questo è forse il libro più intimo mai scritto da Philip Roth, sia per l'argomento che per l'intensità del fattore autobiografico. Se fosse vera anche solo la metà degli avvenimenti qui descritti, anche in questo caso sarebbe il suo libro più intimo. Per molti versi, questa è la sua «Lettera al padre» ma anche la sua liberazione dal padre, figura che mai nei lavori precedenti aveva assunto forme così solenni e allo stesso tempo umane, così epiche (in alcuni episodi la coppia Philip/Hermann aggiorna la lezione di quella Enea/Anchise) e così pietose. Quest'uomo che ha saputo essere sempre autorevole senza necessariamente essere autoritario aveva, secondo l'autore, concepito la propria vita sul seguente assunto: «Non devi dimenticare nulla (...) Essere vivi, per lui, è essere fatti di ricordi. Per lui, se un uomo non è fatto di ricordi, è fatto di niente» (cap. 4). Questo libro è la soluzione narrativa per conservare i ricordi del padre mentre il figlio gli dice addio.
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