L'autrice racconta del protagonista Louis, del suo modo di affrontare le indagini complicate con astuzia e pazienza, in modo da arrivare a capo della soluzione. Sullo sfondo una Parigi nascosta, che non brilla per le sue attrazioni, per i suoi monumenti, quanto per gli angoli nascosti, là dove occhi e orecchie registrano quanto accade per poterlo poi raccontare al Tedesco e aiutarlo nella soluzione del suo caso. Trama ben svolta con uno stile asciutto ma efficace.
Tre storici allo sbando e uno sbirro in disarmo: tornano gli stralunati protagonisti di "Io sono il Tenebroso" e "Chi è morto alzi la mano". Mentre è in appostamento su una panchina Louis Kehlweiler, detto il Tedesco, trova per terra un frammento di osso umano. Una traccia perduta dentro la città. All'apparenza ormai definitivamente. Eppure Kehlweiler la segue, con i suoi due aiutanti, Marc e Mathias. La segue con ostinazione e ossessione fino ad arrivare in un piccolo villaggio della Bretagna. Qui trova un collezionista di macchine per scrivere, fanatico di qualsiasi meccanismo ben oliato, un sindaco pavido e untuoso che non vuole problemi, un losco individuo ferocemente razzista, pronto a tutto pur di diventare sindaco lui. Con la pazienza e la fredda ferocia dell'indagatore, Kehlweiler toglie la maschera a tutti e ricostruisce la storia, le sue follie, le sue mostruosità. Inseguendo le tracce. Come chi scrive. Pubblicato per la prima volta in Francia nel 1996, il romanzo si distingue per il linguaggio terso, lo stile ironico e incisivo, la capacità di prendere per mano il lettore fino alla rivelazione finale, e l'accuratezza nei dettagli più sorprendenti, che deriva all'autrice dalla passione medievalista e dalla professione di zooarcheologa. Da qui il gusto per la detection, per le impronte, le tracce, le piccole cose senza importanza che permettono di dedurre, per una qualche "associazione di idee", la soluzione di un caso.
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Anno edizione:2010
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Gabriella Chirizzi 11 marzo 2017
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SIMONA BONANNI 11 novembre 2010
Carino. Soprattutto perchè le storie della Vargas contengono sempre personaggi che si muovono con agilità tra il drammatico, il comico e l'assurdo, e che restano memorabili. In questo caso però l'aspetto giallistico è un po' contorto, il finale affaticato, e nel chiudere il libro si prova un certo palatabile senso di insoddisfazione. (Si potrebbe dire che una Vargas mediocre resta sempre più convincente di tanti strombazzati autori definiti geniali, ma questa è un'altra storia, e la racconteremo un'altra volta).
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SILVIA FERRANDO 17 giugno 2010
Un pò noioso ma la storia di per sè è carina.
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