La politica dell’esclusione. Deportazione e campi di concentramento
Nella storia i campi di concentramento sono serviti per demolire ciò che doveva essere, per convertire le volontà, per annichilire l’essere umano nel corpo e nella personalità. Insomma, si è trattato «di costruire un’umanità riunificata e purificata, non antagonista». In questo modo, «da una logica di lotta politica si scivola presto verso una logica di esclusione, quindi verso una ideologia dell’eliminazione e […] dello sterminio di tutti gli elementi impuri», oppure della loro rieducazione e del loro controllo. I campi per civili (di internamento, di concentramento, di sterminio) sono un prodotto della politica che si fa totalitaria, dispotica, violenta, padrona, manifestando la volontà di dominare la storia, per accelerarla, deviarla, modificarla, indirizzarla. Sono politica oscena, che cerca il trionfo anche nella carne e nel sangue. Sono il paradigma biopolitico della modernità. Infatti, è con la modernità che la violenza politica si esprime in forme sempre più degradanti dell’essere umano in quanto tale. Questo saggio affronta il tema della politica dell’esclusione dove il corpo dell’individuo, del nemico, diventa la posta in gioco delle strategie politiche.
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Anno edizione:2020
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In commercio dal:17 gennaio 2020
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