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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2014
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I cinque Wu Ming riscoprono le atmosfere di Q ma è solo una riscoperta, è un po' come se in uno sca vo si scoprisse un reperto lo si cominciasse a smontare e si cercasse di comprenderne il funziona mento e di intuirne l'utilizzo. Si porta a termi ne il compitino ma non se ne colgono le sfumatu re. Insomma la scrittura è sempre valida, ma dopo Q la lettura di Altai lascia un senso di insipi do, di vaga insoddisfazione di un'aspettativa che probabilmente era troppo alta.
Dopo quasi un anno dall’uscita ho preso in mano questo fantomatico epilogo di Q con grande aspettativa. Mi è piaciuto fin da subito: parte bello determinato questo libro e non perde mai di ritmo e tensione. Rispetto a Manituana l’ho trovato molto semplice, lineare: pochi i protagonisti e tutti bellissimi. Mi sono finalmente riconciliato con i Wu Ming di Q e 54 che restano in assoluto i due più grandi capolavori.
“Quindici anni dopo l'epilogo di Q”, così recita la fascetta forse solo a scopo commerciale per sedurre il lettore sbadato che si è già 'divertito' con il precedente romanzo. Come il sottoscritto. Peccato invece che non sia lì per ricordare: in “Q” gli autori e molti lettori ci hanno messo l'anima; i sogni e l'impegno politico che hanno riversato nel libro si sono poi scontrati duramente con il G8 di Genova, e quanto detto scritto e fatto non dovrebbe essere dimenticato. Ma sulla fascetta rimane solo il libro. E per me, semplice lettore, è anche una fortuna: posso avvicinare infatti il seguito di quel romanzo militante, scrigno di emozioni inestimabili, anche da profano e prenderne qualche piccola monetina. Molto va perso, forse qualcosa di vitale in realtà. Però... Accennando almeno brevemente a “Q” (in maniera del tutto faziosa e ignorando completamente la trama) per non tralasciare la matrice, segnalo che è un bel romanzone storico, dicendo così che non solo è un bel 'tomone'> di oltre 700 pagine ma è anche un libro in grado di offrire una profonda immersione nella Storia. La prima parte rimane, a mio gusto, di maggior impatto emotivo e narrativo, le altre due tendono a scivolare sempre più verso il gioco letterario e perdono un po' la presa: nel complesso mi hanno lasciato l'impressione di aver letto tre generi diversi di romanzo attraverso i quali un protagonista molto sofferto è stato costretto a vestire i panni dell'eroe più tipico, quello che non può morire e smaschera sempre i cattivi. Nonostante quindi le tre parti rimangano giustapposte, “Q” si avvale di una grande carica romanzesca (e di capitoli non eccessivamente lunghi) in grado, secondo me, di spingere a grandi abbuffate di pagine prima di riuscire ad imporsi la fine della sessione di lettura. Il pregio stacca il difetto e non ho potuto esimermi dal comprare il seguito, per giunta meno impegnativo dal punto di vista della mole di pagine. In “Altai” Gert/Ludovico non è più il protagonista ma uno dei comprimari. Tuttavia risplende ancora in lui l'invincibilità dell'eroe, anzi! La sua aura ormai spazia dalla classicità del deus ex machina, perché col suo bagaglio di esperienza (che è saggezza delle cose degli uomini) può risolvere i problemi, a quella da fumetto Marvel, essendo a capo di un piccolo manipolo di esseri 'particolari' (per un attimo i Wu Ming sembrano sul punto di farli urlare “Vendicatori Uniti!” ( http://it.wikipedia.org/wiki/Vendicatori ) mentre, tra scintille di luce e armi esotiche, si preparano a combattere l'orda dei cattivi). I tentativi di dare amarezza (o meglio, di fargli riconquistare l'amarezza della prima parte di “Q”) sono molto flebili e il nostro caro Gert/Ludovico rimane una figura bidimensionale che si limita ad eseguire la sua funzione di eroe e Virgilio per far rivivere al lettore gli eventi del passato. Lascia però in questo il testimone al nuovo protagonista. Ugualmente diviso nell'identità (ha cambiato il suo nome Manuel Cardoso in Emanuele De Zante e ha nascosto la sua origine ebrea per servire la Serenissima), ugualmente eroico (magari anche dal gusto un po' videoludico in questo caso vista l'ambientazione veneziana di Assassin's Creed II, http://it.wikipedia.org/wiki/Assassin%27s_Creed_II ) il nuovo protagonista è proprio come il vecchio, bidimensionale e guida (nel suo tentativo estremo di salvare la flotta turca dalla sconfitta di Lepanto, la vanità della sua determinazione può essere scambiata per una telecamera che viene spostata nel luogo cruciale della battaglia per mostrare al pubblico l'evento clou) ma nel suo battesimo romanzesco molto meno “emozionante”: l'incipit che lo getta tra le braccia della tragedia storica non è paragonabile a quello di Gert. Alla fine muore certo, ma da vincitore: sereno affronta il boia, perché sa di aver fatto quello che andava fatto, e saggio (non vendicativo) lancia al traditore padre putativo la frase sibillina con cui, per il lettore, lo schiaffeggia 'condannandolo' a vivere e a fronteggiare la rovina (profetizzata dallo stesso Cardoso) senza la consapevolezza degli eventi né la tranquillità nel cuore. Il loro essere espedienti letterari per raccontare a me va più che bene: i due eroi si muovono e agiscono come se veramente stessero costruendo la Storia ormai scritta, ne animano lo sfondo in modo da rendere un poco più carne e sangue le pagine lette nei manuali e i grandi eventi diventano un oggi che può essere sentito e capito. Oltretutto il taglio dei Wu Ming "sovrascrive" il punto di vista più noto della Storia integrandolo con quello degli "altri", dei vecchi (e nuovi) avversari: il romanzo storico come chiave di lettura dei nostri giorni non è solo un effetto collaterale del genere. Concludendo... “Altai” è una lettura piacevole, non è un romanzo che incanta, ha meno presa di “Q” ma tenta ugualmente di dire qualcosa che vada oltre la semplice narrazione e ha finito per soddisfare le mie aspettative.
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