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Anno edizione: 2011
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Se siete tra quelli che fischiettano "io non mi sento italiano,ma per fortuna o purtroppo lo sono.." o magari "fratelli d'Italia,l'Italia s'è desta.." o semplicemente vi chiedete coma mai dopo quasi 150 anni di Italia lo spettro della secessione ancora non riposi in pace,vi consiglio di leggere questo libro. L'autore analizza la storia dello stivale;evidenzia i momenti più significativi che hanno preceduto, portato, caratterizzato e seguito l'unificazione ;ci propone un interessante "variante" storica;ci avverte sulle insidie che attualmente minacciano l'unità nazionale. Le famose parole di D'Azeglio ci ricordano che: "ora che l'Italia è fatta,bisogna rifare gli italiani".
Consiglio a tutti una lettura dell'ottimo saggio che Giorgio Ruffolo ci ha voluto regalare. Il tema è troppo pressante e presente e mi lascia sgomento. Gli argomenti, trattati vcon assoluta maestria, lasciano senza fiato: si ritorna al passato, si ritorna a prima dell'Unità d'Italia; un Nord caratterizzato dall'opulenza ("il grasso Belgio) e un Sud intriso nelle mafie. Ruffolo passa da Gramsci a Croce con assoluta scioltezza e gli intellettuali meridionalisti sono a far cornice. E' la soluzione che, però, non convince (la chiama "mancate conclusioni"). Vi sono dei punti portanti che non si conciliano. Si parte dasll'analisi Gramsciana ("occupazione del Sud da parte del Nord" e "Sud sfruttato dal Nord"); l'autore accetta la prima tesi ma boccia la seconda pur considerando che il Sud si trovava, all'epoca dell'avvenuta unificazioone, depresso e in mano ai latifondi. Più avanti si afferma, pertroppo con assoluta verità, che il sud ha bisogno di riforme strutturali ma che queste sarebbero impedite dal sistema locale corrotto e in mano a poteri mafiosi uniti e corroborati dai sistemo politici. Ne conclude che il rimedio è il "federalismo democratico" nella migliore accezione concepibile. IL rivolgimento che provocherebbe tale soluzione è di portata epocale mentre, nel constatare che dai tempi di Gramsci in effetti nulla è cambiato, anzi si è aggravato - alla classe agraria oggi si sono sostituiti interi popoli mentre agli industriali del Nord si sono sostituiti i gruppi mafiosi collusi con i politici -, una soluzione più aderente e meno sconvolgente - forse più comprensibile dall'Intera Nazione - potrebbe essere rappresentata dalla "normalità" intendendo per tale la "forza dello Stato" nel pretendere che i progetti finanziati dall'Europa e dal Governo vengano realmente realizzati. L'argomento involge una nuova visione del diritto amministrativo rilevato che è proprio in questo settore che bisogna addentrarci e con tutte le precauzioni e arguzie che il caso sud presenta. L'immobilismo del Sud non è solo l'ingordigia dovuta a corruzione e malaffare ma è l'aasenza, quasi completa, del senso amministrativo dell'azione politica e di governo, ciò il più delle volte dovuto a assoluta ignoranza delle regole da parte di funzionari che sono stati marginalizzati per decenni e che non trovano alcun conforto nell'essere efficienti in una amministrazione che sconoscono e, a lato, dei "politici" che spingono solo a accaparrare denaro per fini personali. Insomma, mancando l'amministrazione quale centro propulsivo per la realizzazione dei progetti finalizzati a soddisfare i bisogni, direi, primari del popolo-, in assenza di imprese private che sappiano rimodulare un tessuto ormai esausto - non è da concludere nel senso di abbandonare il Sud sia pure in un disegno autonomistico ed efficiente. Così si finirebbe ad accettare un rischio eccessivo. La soluzione viceversa passa attraverso la "forza della normalità" attraverso la formazione di una classe di politici e dirigenti che sappiano ubidire a dei principi superiore e pretendano, sul posto, l'applicazione con l'intervento di tutte le forze democratiche.
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